Dare chiavi, coltivare semi: il difficile compito dell’educatore

<<Eh già… ma poi il come è sempre un mistero. qui ci si prova, con il costante dubbio se è la cosa giusta o no. nel mio caso, so che i miei genitori, pur con le buone intenzioni, hanno mortificato molti aspetti che poi ho faticato a recuperare e incentivato molti altri che, nella vita, mi si sono ritorti contro. questo mi spaventa: e se fosse inevitabile finire per fare così, sempre, nonostante le buone intenzioni?>>

Questo è un commento a caldo di Ylenia (ricordate “Lo yoga insegnato ai bambini”? Ecco, è proprio lei!) dopo aver letto il mio post su Piero Angela e la stimolazione infantile precoce: esprime un vissuto, una perplessità, un dubbio che credo siano comuni a molte mamme, a molti genitori, e pone una domanda da un milione di dollari: cosa accadrebbe se, nonostante la fatica, nonostante le buone intenzioni, io fallissi nel mio ruolo educativo?? Tradotto: cosa si può fare per non sbagliare?, cosa possiamo fare affinché i figli non ci deludano troppo o, peggio, non diventino persone infelici, decretando, per così dire, il nostro fallimento educativo?, esiste qualcosa, un manuale, un parere esperto, che potrebbe rassicurarci dandoci garanzie del risultato del nostro operato di genitori?

Innanzitutto ringrazio Ylenia per la sua sensibilità e l’acuta osservazione: mi dà la preziosa opportunità di approfondire il mio pensiero, di parlare di stimolazione infantile inserendola in una riflessione di più ampio respiro sull’educazione dei figli, ma premetto che non sarà una risposta semplice, perché di semplice in questo ambito così delicato non c’è nulla..
Iniziamo con il dire che io, come nessun altro, non posso avere la presunzione di stabilire a priori cosa è giusto e cosa è sbagliato fare in ambito educativo: tutto – ogni scelta, ogni parola, ogni minimo gesto – è giusto e legittimo e, allo stesso tempo, può essere opinabile e criticabile e un domani, gettandoci uno sguardo alle spalle, potrebbe sembrare a noi stessi sbagliato, inadeguato o imperfetto e passibile di miglioramento.
metafora ruolo educativo
Mi sembra che la congruenza con noi stessi, la coerenza, sarebbe già un minimo – seppur difficile – risultato al quale aspirare e per il quale impegnarci come educatori. Le critiche gratuite e le condanne senza appello di terzi (esperti, parenti, vicini di casa, ecc.), ahimè troppo frequenti, andrebbero rimandate al mittente.
Secondo obiettivo importante è trascorrere del tempo con i figli. Il tempo a disposizione a volte è tristemente ridotto ma è sufficiente adoperarsi affinché sia un tempo di qualità; sembra una cosa banale, ma stare del tempo con i figli non significa ovviamente limitarsi a soggiornare nella stessa stanza, bensì fare qualcosa insieme, qualsiasi cosa, per costruire e rinsaldare quotidianamente il legame, per aiutarli a crescere nel vero senso della parola: i bambini, soprattutto quelli piccoli, hanno la necessità prioritaria di sentire che i genitori ci sono, ci saranno sempre, come un faro nella notte. Solo in questo modo partiranno sicuri sulle proprie gambe, senza paura, per esplorare il mondo. Sono fermamente convinta che un bambino stia meglio in una casa non perfettamente ordinata, magari con i vetri opachi e puntinati dalla pioggia, ma accanto ai genitori, piuttosto che in una casa da copertina patinata ma priva di affetto e attenzioni reciproche. Senza contare che per un genitore dovrebbe essere naturalmente più gratificante stare a giocare con i figli piuttosto che incerare il pavimento!
Terzo obiettivo raggiungibile può essere sicuramente la consapevolezza delle proprie scelte: un educatore, se consapevole di ciò che sta facendo e non completamente succube del proprio inconscio, è sempre ‘teoricamente’ nel giusto; un genitore non può colpevolizzarsi o essere colpevolizzato (nei limiti della ragionevolezza) per le scelte che fa, perché fa ciò che riesce a fare (scusate il bisticcio di parole) in quel momento particolare, con quel bambino particolare, in base alle sue convinzioni, ma soprattutto in base alle risorse che ha a disposizione, in termini emotivi, cognitivi, energetici, di tempo, ecc.
Se vivessimo 2 vite, probabilmente non faremmo la stessa cosa nello stesso identico modo per 2 volte, ma dal momento che – fino a prova contraria – la vita è una sola, non possiamo sentirci sempre in difetto, sempre con la sensazione di essere sul bordo di un baratro quando dobbiamo prendere delle decisioni.
Quale genitore, eccezion fatta per qualche patologia mentale, non fa scelte convinto di agire per il bene dei propri figli? Non penso sia contemplabile una mamma mossa da “cattive intenzioni”, anche quando fa scelte che dall’esterno sembrano impopolari o, peggio, dannose. Tra parentesi, è per questa ragione che non amo molto quei professionisti della salute e non solo (pediatri, educatori, psicologi, insegnanti, ecc.) che si propongono come detentori di una Verità assoluta e in questo modo, pur non accusando apertamente nessuno, rischiano di ingenerare vissuti di inadeguatezza nei genitori che non si sentono all’altezza del compito, che non riescono a raggiungere un obiettivo standard, che non si adeguano. Se è legittimo cercare di fare modificare un comportamento potenzialmente disfunzionale che il genitore adotta nei confronti del bambino, è doveroso innanzitutto analizzare il “perché” del suo agire, mostrando i pro e i contro di varie alternative, quindi dare nutrimento alla consapevolezza genitoriale, offrendo opzioni differenti  – non un’unica alternativa! – che i genitori stessi, alla fine, si devono sentire liberi di accettare quanto di rigettare.
Se cercate una tesi “esperta” che avvalori il vostro personale punto di vista educativo (esempio banale: lettone , lettone no), state certi che ne troverete una molto convincente, ma immediatamente dopo ne troverete un’altra diametralmente opposta e altrettanto convincente. E poi: tutti gli esperti semplicisticamente invitano alla moderazione, al giusto equilibrio tra stile permissivista/indulgente e stile autorevole, ma qual è esattamente questo confine?? Forse, per stare nel giusto, è sufficiente evitare gli estremi: autoritarismo e negligenza… Forse!
Con questo ragionamento non intendo giustificare tutto e tutti: il mio intento è quello di eliminare un po’ d’ansia che – quella effettivamente sì, è un’eredità scomoda per i nostri figli – normalmente abita i pensieri dei genitori.
Il porsi delle domande è corretto, mentre il continuo rimuginare sulla correttezza o meno delle proprie scelte è inutile, è un probabile indice di un’insicurezza interiore dalle radici lontane che può paralizzare e, nei peggiori dei casi, diventare un alibi per delegare sempre ad altri l’educazione.
Ovviamente, anche se un genitore è presente, consapevole e coerente, non ci sono garanzie sul futuro dei suoi figli; mi sento anzi di ‘assicurarvi’ che la maggior parte dei genitori convive a vita con piccoli e grandi rimpianti e rimorsi: non è rassicurante, lo so, ma è un dato di fatto!
Posso solo tentare ulteriormente di sgravarvi da sensi di colpa inutili facendo riflettere sul fatto che sullo sviluppo del carattere del bambino e sulle sue abilità cognitive giocano un ruolo importante differenti variabili sulle quali abbiamo, come genitori, scarsa o nulla possibilità di azione: la scuola (ossia il rapporto con i compagni e gli insegnanti) in primis, ma anche il temperamento innato, l’ambiente extrascolastico (attività sportive, di Oratorio, ecc.). Gli adolescenti ad esempio sono influenzati più dai coetanei che dai genitori, ma anche i bambini piccoli in qualche misura mostrano di crescere su “imitazione” e confronto con i coetanei e, al giorno d’oggi, guardando molta TV, può persino accadere che il protagonista dei cartoni più amati diventi un eroe, punto di riferimento per imparare delle cose, nozioni o atteggiamenti (nel bene e nel male ovviamente).
Prendo a prestito e rielaboro umilmente una metafora sull’educazione usata da Don Bosco: il bambino è un seme e il genitore è l’agricoltore.

Per prima cosa un buon agricoltore cerca di preparare il terreno, altrimenti il seme non può essere gettato e il terreno stesso, non solo resta incolto e sterile, ma anche esposto alla crescita di ogni sorta di erbacce. Il seme va poi gettato con competenza al momento opportuno, curato, protetto, con fatica, senza esser certi del raccolto.

“Vedete là un giardiniere quanta cura mette per tirar su una pianticella; si direbbe fatica gettata al vento; ma esso sa che quella pianticella col tempo verrà a rendergli molto, e perciò non bada a fatiche, e comincerà a lavorare e sudare per preparare il terreno, e qui scava, là zappa, poi concima, poi sarchia, poi pianta o mette il seme. Poi come se questo fosse poco, quanta cura e attenzione nel badare che non si calpesti il luogo dove fu seminato, perché non vadano uccelli e galline a mangiare la semente! Quando la vede nascere, la guarda con compiacenza: – Oh! Germoglia, ha già due foglie, tre … – Poi pensa all’innesto, ed oh! Con quanta cura lo cerca dalla miglior pianta del suo giardino e taglia il ramo, lo fascia, lo copre, procura che il freddo o l’umidità non lo faccia morire. Quando poi la pianta cresce e volta o si piega da una parte, subito cerca di mettervi un sostegno che la faccia crescere diritta; o se teme che il fusto o tronco sia troppo debole, che il vento o la bufera lo possano atterrare, le pone accanto un grosso palo, e lo lega e lo fascia, perché non abbia a succedere il temuto pericolo. Ma perché, o mio giardiniere, tanta cura per una pianta? – Perché se non faccio così, essa non mi darà frutti; se voglio averne molti e buoni, devo assolutamente fare così. – E purtroppo, notate, malgrado tutto ciò, soventi volte muore l’innesto, si perde la pianta; ma nella speranza di rifarsi poi, si fa tante fatiche”. (Don Bosco, Esercizi spirituali di Lanzo, 1876)

Riflettiamo sulla metafora: anche se abbiamo l’intenzione di piantare un bel un seme di gelsomino e speriamo un giorno di sentirne il profumo, non avremo mai certezza assoluta del fatto che nascerà davvero un gelsomino: le variabili “sul campo” sono tante… Il seme può essere mangiato da un uccellino di passaggio, può essere trasportato via dal vento, ecc. Non tutto è sotto il nostro controllo, anche se ci piacerebbe. Per quanto suoni strano, può accadere anche che se piantiamo un seme di gelsomino, per un assurdo scherzo della natura, in quel punto potrebbe nascere un cardo… e viceversa!

La vita dei bambini è sicuramente da viversi come un seme fecondo che attende il sapiente contadino capace di coltivarlo perché porti frutto: tra il “seme” e il “contadino” si instaura una sorta di alleanza fondata sul rispetto, sulla fiducia e sull’amore, un rapporto intimo e profondo che non è assoluta garanzia di fecondità e di futuro ma è un buon punto di partenza.

Per tornare al tema specifico della stimolazione infantile, se nutriamo qualche ambizione per il futuro professionale sereno dei nostri figli in una società molto competitiva e complessa, non possiamo delegare questo aspetto solo alle istituzioni scolastiche: queste hanno un grande limite, come già ho avuto modo di sottolineare in altri contesti, che è quello di non valorizzare tutte le competenze e intelligenze. Molti talenti rimangono inespressi, molte potenzialità addirittura inibite sul nascere. Il lavoro scarseggia e trovare un’occupazione sarà sempre più difficile, ma se non limitiamo lo sguardo, se anzi apriamo orizzonti nuovi, magari inesplorati, la difficoltà si ridimensiona notevolmente.

Si tratta di stimolare, aprire più porte, in modo da consentire, almeno teoricamente, l’apertura di più porte nel futuro prossimo e remoto.

futuro

Cosa deve/può fare allora un genitore?

Un genitore può partire molto banalmente dall’osservare il proprio bambino, le sue inclinazioni, i suoi gusti, e decidere di assecondarli, ma anche di proporre qualcosa di differente per colmare eventuali lacune prima che ingigantiscano e diventino irrecuperabili. Mi spiego meglio con un esempio: se un bambino è poco coordinato nei movimenti, probabilmente non andrà volentieri a fare attività motorie, eppure è proprio quello di cui forse ha maggiormente bisogno! Esercitandosi non diventerà un atleta, ma almeno non rischierà di rovinare a terra fragorosamente davanti ai compagni per essere inciampato nei propri piedi (con le conseguenti – quasi inevitabili – prese in giro così deleterie per l’autostima) e potrà essere chiamato in squadra quando si gioca a pallavolo, potrà giocare ai giardinetti con i coetanei divertendosi come loro a scalare castelli di legno e ragni di corda!

Vorrei farvi notare inoltre come chi non ha avuto buoni voti in matematica alla Scuola Primaria (a causa troppo spesso di una didattica obsoleta che non gli ha consentito di comprendere la materia a fondo), molto probabilmente sceglierà, come futuro scolastico, un corso di studi che gli consenta di allontanarsi il più possibile da questa materia… ma si tratta di un vero orientamento? Di una vera scelta consapevole? Sono molte le persone che si trovano in questa situazione, derubate di una parte del proprio potenziale.. Sono TROPPE.. Non è possibile guardarci un po’ intorno, prendere spunto da didattiche differenti per insegnare ai bambini in età prescolare il concetto di numero e di operazione come se fosse un gioco e sfruttando il loro potenziale matematico innato?? Sono la sola a cogliere l’utilità di fare tentativi in questa direzione? Se non è la Scuola dell’Infanzia a farlo lo può fare un genitore: semplice! Vedete questo voler nutrire l’intelligenza come un furto di ingenuità?, come una costrizione? Considerate un momento (perché si tratta ovviamente di piccoli spazi e tempi e non di lezioni strutturate) sottratto al gioco spontaneo come una perdita irreparabile? Io francamente, per quanto abbia analizzato a fondo la questione, non trovo rischi… ma sono aperta al confronto.

Il trucco sta nello stimolare il bambino abbastanza da farlo arrivare ad un obiettivo, ma non troppo da farlo stressare.  C’è infatti un ritmo naturale che va rispettato, anzi servito: siamo tenuti a “imparare” questo ritmo unico di ogni bambino, cadenzando umilmente il nostro passo con quello dei bambini. Vi parlerò un giorno della “magnifica” zona di sviluppo prossimale!

Ricordate che la prima infanzia ha il grande pregio di poter proporre tutto senza fatica, come un gioco (cosa che in adolescenza, e ancor più da adulti, non è quasi mai praticabile), perché i bambini sono curiosi in modo naturale, aperti a tutte le esperienze.

Da ultimo, in questa fase della vita, i bambini possono sviluppare, passo dopo passo, grazie alle diverse esperienze proposte, una consapevolezza sempre più fine del proprio livello di efficienza in differenti ambiti senza alcun rischio per l’autostima… questa è una gran bella dote da portarsi dietro nella crescita!  Infatti, a differenza di quanto accade in età adulta, non sono i fallimenti a ingenerare nei bambini una bassa autostima, ma il modo in cui le persone significative reagiscono ad esse; questo è l’ultimo spunto di riflessione che lascio ai genitori: imparare a far metabolizzare nel modo giusto le sconfitte – inevitabili nella vita – è un altro obiettivo educativo, non semplice ma non irraggiungibile, e soprattutto molto utile.

Nel prossimo post vi presenterò alcuni testi che, a mio parere, possono essere utili per toglierci un po’ di ansie genitoriali… all’insegna del “take it easy”!

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