<<Eh già… ma poi il come è sempre un mistero. qui ci si prova, con il costante dubbio se è la cosa giusta o no. nel mio caso, so che i miei genitori, pur con le buone intenzioni, hanno mortificato molti aspetti che poi ho faticato a recuperare e incentivato molti altri che, nella vita, mi si sono ritorti contro. questo mi spaventa: e se fosse inevitabile finire per fare così, sempre, nonostante le buone intenzioni?>>
Questo è un commento a caldo di Ylenia (ricordate “Lo yoga insegnato ai bambini”? Ecco, è proprio lei!) dopo aver letto il mio post su Piero Angela e la stimolazione infantile precoce: esprime un vissuto, una perplessità, un dubbio che credo siano comuni a molte mamme, a molti genitori, e pone una domanda da un milione di dollari: cosa accadrebbe se, nonostante la fatica, nonostante le buone intenzioni, io fallissi nel mio ruolo educativo?? Tradotto: cosa si può fare per non sbagliare?, cosa possiamo fare affinché i figli non ci deludano troppo o, peggio, non diventino persone infelici, decretando, per così dire, il nostro fallimento educativo?, esiste qualcosa, un manuale, un parere esperto, che potrebbe rassicurarci dandoci garanzie del risultato del nostro operato di genitori?
Per prima cosa un buon agricoltore cerca di preparare il terreno, altrimenti il seme non può essere gettato e il terreno stesso, non solo resta incolto e sterile, ma anche esposto alla crescita di ogni sorta di erbacce. Il seme va poi gettato con competenza al momento opportuno, curato, protetto, con fatica, senza esser certi del raccolto.
“Vedete là un giardiniere quanta cura mette per tirar su una pianticella; si direbbe fatica gettata al vento; ma esso sa che quella pianticella col tempo verrà a rendergli molto, e perciò non bada a fatiche, e comincerà a lavorare e sudare per preparare il terreno, e qui scava, là zappa, poi concima, poi sarchia, poi pianta o mette il seme. Poi come se questo fosse poco, quanta cura e attenzione nel badare che non si calpesti il luogo dove fu seminato, perché non vadano uccelli e galline a mangiare la semente! Quando la vede nascere, la guarda con compiacenza: – Oh! Germoglia, ha già due foglie, tre … – Poi pensa all’innesto, ed oh! Con quanta cura lo cerca dalla miglior pianta del suo giardino e taglia il ramo, lo fascia, lo copre, procura che il freddo o l’umidità non lo faccia morire. Quando poi la pianta cresce e volta o si piega da una parte, subito cerca di mettervi un sostegno che la faccia crescere diritta; o se teme che il fusto o tronco sia troppo debole, che il vento o la bufera lo possano atterrare, le pone accanto un grosso palo, e lo lega e lo fascia, perché non abbia a succedere il temuto pericolo. Ma perché, o mio giardiniere, tanta cura per una pianta? – Perché se non faccio così, essa non mi darà frutti; se voglio averne molti e buoni, devo assolutamente fare così. – E purtroppo, notate, malgrado tutto ciò, soventi volte muore l’innesto, si perde la pianta; ma nella speranza di rifarsi poi, si fa tante fatiche”. (Don Bosco, Esercizi spirituali di Lanzo, 1876)
Riflettiamo sulla metafora: anche se abbiamo l’intenzione di piantare un bel un seme di gelsomino e speriamo un giorno di sentirne il profumo, non avremo mai certezza assoluta del fatto che nascerà davvero un gelsomino: le variabili “sul campo” sono tante… Il seme può essere mangiato da un uccellino di passaggio, può essere trasportato via dal vento, ecc. Non tutto è sotto il nostro controllo, anche se ci piacerebbe. Per quanto suoni strano, può accadere anche che se piantiamo un seme di gelsomino, per un assurdo scherzo della natura, in quel punto potrebbe nascere un cardo… e viceversa!
La vita dei bambini è sicuramente da viversi come un seme fecondo che attende il sapiente contadino capace di coltivarlo perché porti frutto: tra il “seme” e il “contadino” si instaura una sorta di alleanza fondata sul rispetto, sulla fiducia e sull’amore, un rapporto intimo e profondo che non è assoluta garanzia di fecondità e di futuro ma è un buon punto di partenza.
Per tornare al tema specifico della stimolazione infantile, se nutriamo qualche ambizione per il futuro professionale sereno dei nostri figli in una società molto competitiva e complessa, non possiamo delegare questo aspetto solo alle istituzioni scolastiche: queste hanno un grande limite, come già ho avuto modo di sottolineare in altri contesti, che è quello di non valorizzare tutte le competenze e intelligenze. Molti talenti rimangono inespressi, molte potenzialità addirittura inibite sul nascere. Il lavoro scarseggia e trovare un’occupazione sarà sempre più difficile, ma se non limitiamo lo sguardo, se anzi apriamo orizzonti nuovi, magari inesplorati, la difficoltà si ridimensiona notevolmente.
Si tratta di stimolare, aprire più porte, in modo da consentire, almeno teoricamente, l’apertura di più porte nel futuro prossimo e remoto.
Cosa deve/può fare allora un genitore?
Un genitore può partire molto banalmente dall’osservare il proprio bambino, le sue inclinazioni, i suoi gusti, e decidere di assecondarli, ma anche di proporre qualcosa di differente per colmare eventuali lacune prima che ingigantiscano e diventino irrecuperabili. Mi spiego meglio con un esempio: se un bambino è poco coordinato nei movimenti, probabilmente non andrà volentieri a fare attività motorie, eppure è proprio quello di cui forse ha maggiormente bisogno! Esercitandosi non diventerà un atleta, ma almeno non rischierà di rovinare a terra fragorosamente davanti ai compagni per essere inciampato nei propri piedi (con le conseguenti – quasi inevitabili – prese in giro così deleterie per l’autostima) e potrà essere chiamato in squadra quando si gioca a pallavolo, potrà giocare ai giardinetti con i coetanei divertendosi come loro a scalare castelli di legno e ragni di corda!
Vorrei farvi notare inoltre come chi non ha avuto buoni voti in matematica alla Scuola Primaria (a causa troppo spesso di una didattica obsoleta che non gli ha consentito di comprendere la materia a fondo), molto probabilmente sceglierà, come futuro scolastico, un corso di studi che gli consenta di allontanarsi il più possibile da questa materia… ma si tratta di un vero orientamento? Di una vera scelta consapevole? Sono molte le persone che si trovano in questa situazione, derubate di una parte del proprio potenziale.. Sono TROPPE.. Non è possibile guardarci un po’ intorno, prendere spunto da didattiche differenti per insegnare ai bambini in età prescolare il concetto di numero e di operazione come se fosse un gioco e sfruttando il loro potenziale matematico innato?? Sono la sola a cogliere l’utilità di fare tentativi in questa direzione? Se non è la Scuola dell’Infanzia a farlo lo può fare un genitore: semplice! Vedete questo voler nutrire l’intelligenza come un furto di ingenuità?, come una costrizione? Considerate un momento (perché si tratta ovviamente di piccoli spazi e tempi e non di lezioni strutturate) sottratto al gioco spontaneo come una perdita irreparabile? Io francamente, per quanto abbia analizzato a fondo la questione, non trovo rischi… ma sono aperta al confronto.
Il trucco sta nello stimolare il bambino abbastanza da farlo arrivare ad un obiettivo, ma non troppo da farlo stressare. C’è infatti un ritmo naturale che va rispettato, anzi servito: siamo tenuti a “imparare” questo ritmo unico di ogni bambino, cadenzando umilmente il nostro passo con quello dei bambini. Vi parlerò un giorno della “magnifica” zona di sviluppo prossimale!
Ricordate che la prima infanzia ha il grande pregio di poter proporre tutto senza fatica, come un gioco (cosa che in adolescenza, e ancor più da adulti, non è quasi mai praticabile), perché i bambini sono curiosi in modo naturale, aperti a tutte le esperienze.
Da ultimo, in questa fase della vita, i bambini possono sviluppare, passo dopo passo, grazie alle diverse esperienze proposte, una consapevolezza sempre più fine del proprio livello di efficienza in differenti ambiti senza alcun rischio per l’autostima… questa è una gran bella dote da portarsi dietro nella crescita! Infatti, a differenza di quanto accade in età adulta, non sono i fallimenti a ingenerare nei bambini una bassa autostima, ma il modo in cui le persone significative reagiscono ad esse; questo è l’ultimo spunto di riflessione che lascio ai genitori: imparare a far metabolizzare nel modo giusto le sconfitte – inevitabili nella vita – è un altro obiettivo educativo, non semplice ma non irraggiungibile, e soprattutto molto utile.
Nel prossimo post vi presenterò alcuni testi che, a mio parere, possono essere utili per toglierci un po’ di ansie genitoriali… all’insegna del “take it easy”!
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