Etnomedicina: la guarigione per l’ammalato inizia con la notizia dell’avvicinarsi alla capanna da parte del guaritore

Quattro volte gridai “Hey-a-a-hey!”,

tambureggiando: gridavo allo spirito del mondo, e già

mentre facevo così potevo sentire il potere che saliva in me dai piedi in su,

e capii che sarei stato in grado di fare qualcosa per il bambino malato.

(J.G. Neihardt, Alce Nero Parla)

Come si cura il mal di denti in Cina? E il mal di pancia in India? Forse questi quesiti a voi interessano poco, mentre tra i miei studi universitari, quelli che maggiormente hanno suscitato un interesse tale da invitarmi ad approfondire l’argomento in anni recenti, ormai lontana dall’incubo degli esami e dall’ansia di prestazione, ci sono proprio l’antropologia e l’etnomedicina, cioè lo studio delle medicine cosiddette “tradizionali” (dall’ayurveda alla medicina cinese in poi, in tutti e cinque i continenti).

etnomedicina

Voglio spiegarvi brevemente cos’è l’etnomedicina, anche se il post avrà un taglio “didattico”, perché per me è il punto di partenza della mia attuale concezione di “guarigione” da tutte le patologie e, in qualche modo, per me essa è alla base di TUTTI i sistemi di guarigione attualmente esistenti alternativi alla medicina occidentale. Dopo questo post spero vi si aprano nuovi orizzonti di comprensione e di senso rispetto ad alcune mie proposte di percorsi di crescita o suggerimenti.

L’etnomedicina è preziosa perché fonde in sé medicina, antropologia, psicologia, religione, e  permette al ricercatore di operare in modo multidisciplinare, senza quei vincoli mentali e quelle barriere che solitamente in altri ambiti impediscono il dialogo fra realtà paradigmatiche differenti tra loro. L’aspetto più interessante, a mio parere, concerne l’acquisizione di una diversa idea di “fare medicina” e una diversa concezione di ciò che noi siamo soliti definire “malattia” e “cura” (Nathan, 1996).

Ma quale può essere l’importanza di una scienza come l’etnomedicina, ancora sconosciuta al vasto pubblico, e quali risorse può apportare alla nostra medicina? Innanzitutto il recupero di una visione completa/olistica dell’individuo, nella sua unità di mente-corpo-anima, insieme alla consapevolezza che qualsiasi iter terapeutico non può prescindere da una relazione armonica tra paziente e uomo-medicina. Mentre la medicina occidentale è infatti essenzialmente basata sul modello sperimentale e su sistemi di tipo deduttivo, la tendenza generale delle medicine tradizionali è quella che la salute di un individuo debba essere letta attraverso una complessa griglia interpretativa in cui gli aspetti medico-fisiologici si fondono con quelli antropologici e sociali.

All’interno di queste culture il concetto di “cura” si estende includendo la sfera magico-mitologica coinvolgente, ad esempio, gli spiriti degli antenati, aprendosi così alla dimensione del sacro e del religioso, che spesso è connaturata a quella medica, visto che la guarigione riguarda spesso il ristabilirsi di un equilibrio che è al tempo stesso fisico, sociale e spirituale (Eliade, 1974).

Insomma, mentre la medicina occidentale è impegnata a cercare germi e batteri, le medicine tradizionali sono impegnate a cacciare gli spiriti o le divinità causanti malesseri e sofferenze. In questi casi l’uomo-medicina, il “guaritore” è protagonista, insieme al malato, di un processo nel quale gli elementi concreti e fisiologici del “male” vengono trascesi e trasferiti su di un piano puramente simbolico, dove subiranno le opportune trasformazioni per mano del terapeuta.

E’ l’irruzione dell’elemento sacro e dei mondi immaginari del paziente e del guaritore che rende l’approccio etnomedico estremamente interessante per noi occidentali, chiamati ad una apertura verso una cultura medica altra.

L’optimum sarebbe dunque che la nostra medicina così avanzata da un punto di vista tecnologico tenesse in considerazione un semplice assunto comune a gran parte dei modelli etnomedici e cioè che il processo di guarigione per l’ammalato ha inizio con la notizia dell’avvicinarsi alla sua capanna da parte del guaritore.

In questo modo potrà nascere una medicina più attenta ai reali bisogni del malato e più consapevole del fatto che dal primo vagito all’ultimo respiro ogni individuo è composto di “soma”, “psiche” e “polis” e che quindi egli è contemporaneamente corpo, persona ed essere sociale. L’etnomedicina guarda a tutte quelle comunità che hanno conservato intatta la tradizione antica e popolare della cura, attraverso il ricorso a rimedi naturali ma anche – e soprattutto – alla condivisione dello spazio sociale con il sofferente, tramite riti collettivi in grado di coinvolgere l’intera famiglia e spesso tutta quanta la comunità.

La malattia va contestualizzata e il malato va accolto nella sua interezza di persona, coinvolgendone gli aspetti psicologici, sociali ed ambientali, comprendendone in primo luogo la “mappa” attraverso la quale egli legge la realtà, consci del fatto che proprio negli elementi che compongono quella mappa potremmo scorgere le ragioni del suo ammalarsi e del suo eventuale guarire: ci sono infatti patologie legate alla cultura e osservabili solo in alcuni contesti culturali. Come possiamo non tenerne conto?

Per questo motivo chi fa ricerca in questo ambito, per citare alcuni studi recenti (Rossi, Li Vigni, Zuffi, 1996), si confronta con forme di pensiero che si sottraggono alla rigida causalità e pensa piuttosto che ogni azione culturalmente definita – sia essa un rito, una danza, una preghiera – possa ristabilire un legame armonico fra persona e società, all’interno della quale si generano le cause e le terapie dello stesso mal-essere.

Un rituale di guarigione

Un interessante rituale di guarigione è quello praticato in Nepal presso gli sciamani Tamang. Per questa popolazione la malattia è il risultato dell’alterato equilibrio fra l’uomo e l’ambiente socio-psico-spirituale; l’infrazione di un obbligo rituale, il mancato rispetto nei confronti di una persona o di un oggetto sacro, l’inoltrarsi in un campo o in una foresta senza avere prima chiesto la necessaria autorizzazione agli spiriti o divinità che li abitano, possono provocare lo scatenamento di forze misteriose, che portano l’individuo ad ammalarsi (Romanò, 1997).

shaman tamang

La malattia ha quindi sempre cause sovrannaturali. Quindi si richiede l’intervento del Bombo per curare una persona, mentre il rituale prevede una drammatizzazione di eventi la cui carica simbolica agisce terapeuticamente sul malato. Nel corso della cerimonia lo sciamano si avvale dell’ausilio di particolari oggetti magici, suggerisce immagini, colori, proferisce suoni, il cui potere simbolico viene amplificato dal contesto profondamente sacralizzato. In stato di trance, favorita da particolari tecniche meditative, dalla recitazione di mantra e dal suono del tamburo, lo sciamano entra in contatto con i mondi ultraterreni (Halifax, 1990) contrattando con spiriti e demoni una soluzione pacifica del problema, in cambio di offerte e sacrifici. Per mezzo del suo operato, le forze nascoste che, attraverso la malattia insidiano la persona e la comunità vengono evocate e padroneggiate. Lo sciamano è in grado di contattare l’organo o le diverse parti del corpo malate cacciando gli spiriti e i demoni, che ne hanno preso possesso, aiutando il paziente, attraverso la recitazione di mantra, formule magiche, soffiando o strofinando il corpo in corrispondenza della parte malata.

Queste operazioni magico-terapeutiche producono nel paziente ciò che da un punto di vista psicanalitico è possibile definire una dissociazione dal problema o dal male. L’organo malato, attraverso esorcismi, viene simbolicamente trattato e trasferito ad un livello ‘altro’ di realtà dove subirà le opportune manipolazioni da parte del guaritore. Il male può essere identificato con un demone o con uno spirito, i quali verranno invitati a lasciare la parte del corpo afflitta mediante operazioni complesse di medicina spirituale, per certi versi simili a pratiche terapeutiche della nostra medicina popolare, diffuse ancora oggi nelle nostre campagne, dove per cacciare il male dall’organo si utilizzano preghiere, strofinamenti, musiche, rituali aventi la finalità di manipolare simbolicamente il male e di sconfiggerlo. Un tipico esempio di manipolazione simbolica della malattia si ritrova tra i guaritori popolari in gran parte d’Italia. In molte nostre campagne il fuoco di S. Antonio viene segnato con preghiere e con lo strofinamento della parte del corpo colpita con una spazzola, o con una moneta antica.

Il simbolo come terapia

L’intervento terapeutico del guaritore è fondato su una pratica di tipo magico-religiosa, che nei soggetti aderenti a quella particolare realtà socio-culturale è in grado di sortire un effetto rassicurante.

Il terapeuta in questo contesto assurge al ruolo di catalizzatore delle preoccupazioni del malato, consentendogli di alleggerire il peso delle proprie ansie. È senza dubbio il rapporto di fiducia che si crea tra guaritore e paziente ciò che permette al primo di essere efficace nella sua azione di aiuto.

Il rituale di guarigione appare estremamente ricco di rappresentazioni simboliche e metaforiche, nelle quali il malato e il paziente entrano reciprocamente in uno stato di trance ed iniziano a comunicare attraverso il linguaggio dell’inconscio.

Il guaritore individua le connotazioni più significative della malattia, delle emozioni vissute dal paziente, delle relazioni che legano il soggetto alla propria famiglia e all’intero gruppo sociale, interpretandole attraverso una prospettiva sacra e religiosa.

Per dirla con le parole della psicanalisi, il guaritore parlando il linguaggio dell’inconscio, in modo simbolico-metaforico, è in grado di sciogliere ed elaborare, nel paziente, quei conflitti e quei disagi che ne determinano lo stato di mal-essere.

L’aspetto di estremo interesse è l’efficacia simbolica dell’uomo-medicina, in quanto l’azione terapeutica delle sue pratiche magiche, come fa notare Levi Strauss (1966), attuate mediante rappresentazioni simboliche, è caratterizzata da una manipolazione psicologica dell’organo malato. Analogamente all’approccio psicananalitico dove l’analista parla al suo paziente attraverso l’uso di metafore verbali, il cui contenuto simbolico può riordinare un disequilibrio psicosomatico, il guaritore è in grado di modificare delle funzioni organiche mediante delle rappresentazioni corporee, musicali, olfattive, fondate su un uso estremamente raffinato della sensorialità. Il terapeuta fornisce al malato un linguaggio attraverso il quale è possibile esprimere certi stati non formulati e non formulabili. In questo modo l’intervento terapeutico consente al paziente un deflusso di stati emotivi, che rimasti a lungo inespressi, hanno trovato per via simbolica, uno sfogo nella malattia.

Non si tratta quindi di “medicina da quattro soldi”, e non intendo assolutamente giustificare i finti guaritori e santoni che nella nostra società speculano sulla salute delle persone, ma vorrei sottolineare come queste forme antiche e apparentemente “primitive”, siano in realtà un dispositivo culturale molto sofisticato Tale dispositivo reintegra l’individuo potenzialmente deviante nella comunità. La crisi ritualizzata di possessione origina ordine ed insieme “rianima” la persona ponendola a diretto contatto con le sue parti inconsce, ripristinando quell’armonia interna (psichica) ed esterna (sociale) precedente la malattia. L’analogia con i processi psicoterapeutici e psicanalitici è evidente.

In ogni cultura e paese del mondo vi sono luoghi nei quali vengono attuate strategie terapeutiche simili, capaci di leggere e dare senso a ciò che ad una analisi superficiale potrebbe non averne, o apparire addirittura minaccioso per i nostri paradigmi scientifici. E, comunque, come non leggerne analogie e sovrapposizioni con la metagenealogia e la psico-magia di Jodorowsky, con gli atti poetici di Antonio Bertoli, con le Costellazioni familiari di Hellinger, con tutta l’arte-terapia che fa del simbolo e della metafora il proprio principale strumento di intervento e osservazione?.. e ancora con la Terapia Verbale di Gabriella Mereu?

Io non so se si tratta di effetto placebo o meno, ma se qualcosa funziona merita attenzione, anche se non passa sotto la lente d’ingrandimento di un microscopio o in una provetta.

Note bibliografiche

Eliade M., (1974), Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, Ed. Mediterranee, Roma.

Halifax J. (1990), Lo sciamano: il maestro dell’estasi, Ed. Red, Como.

Levì Strauss C., (1966) Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano.

Li Vigni I., Rossi P.A. , Zuffi S., (1995), Aver cura dell’uomo, Erga, Genova.

Nathan T., Principi di Etnopsicanalisi Bollati Boringhieri, Torino.

Romanò M., (1997) Aspetti simbolici dell’intervento terapeutico nello sciamanesimo nepalese in Altrove – Gennaio 97 p.69, Torino.

 

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