Come anticipato, a questo punto voglio peccare di presunzione – si fa per dire! – e voglio esprimere il mio parere sul Metodo Simonton e la visualizzazione per il ritorno alla salute, non per complicarvi la vita, ma per stimolare ulteriori riflessioni. Attendo ovviamente i vostri pensieri in merito: per me saranno preziosissimi!
Ho riflettuto molto e sono giunta alla conclusione che il Metodo Simonton possa essere molto utile per tutti. L’uso dell’immaginazione – come ho avuto modo di spiegarvi – è un strumento molto antico e molto efficace perché l’uso di immagini mentali può influenzare il nostro modo di pensare. Sappiamo che la nostra mente gioca un ruolo preponderante sui livelli del dolore, sul decorso della malattia e sugli effetti collaterali. Sappiamo ora, da un punto di vista scientifico, che ANCHE le emozioni hanno un impatto sulle nostre cellule. Ciò significa che ogni cellula del nostro corpo è influenzata da tutta la gamma delle emozioni, che sia gioia o disperazione. Il pensiero “guidato” opportunamente attraverso immagini può stimolare il sistema di guarigione del nostro corpo, agire sui livelli ormonali ed aiutarci a raggiungere il risultato desiderato. Queste tecniche sono efficaci quando accompagnano qualsiasi tipo di trattamento. Molte persone sono terrorizzate dalle terapie tradizionali e dai loro effetti collaterali e questi pensieri di certo non li aiutano a sentirsi bene, sia fisicamente che mentalmente. Avere paura o preoccuparsi è immaginare un risultato non desiderato: questo è un uso comune di immagini malsane. Con la visualizzazione si può invece drasticamente trasformare l’ansia e la paura in fiducia e serenità e ridurre gli effetti collaterali.
Ma, se veramente ogni metafora è strettamente personale, allora anche la visualizzazione della cura dovrebbe poter essere “personalizzabile”, dovrebbe essere unica per ciascuno di noi, dovremmo sentire che ci appartiene!
Le mie riflessioni sono scaturite dopo aver scoperto la classificazione di un ipnotista del Regno Unito, Terence Watts, che, con tutti i limiti delle categorizzazioni così ristrette, divide le persone in “guerrieri”, “coloni” e “nomadi” (nell’originale “warriors”, “settlers” e “nomads”): tre personalità ben distinte, con tratti ereditati dai nostri antenati, che affrontano il mondo e le eventuali difficoltà in modo ben differente.
I guerrieri, ovviamente, sono più portati ad approcciarsi alla vita in modo attivo, determinato, a volte anche aggressivo, spietato, e tendono ad essere razionali, metodici, perciò non faticheranno certo ad immaginarsi i globuli bianchi come un esercito in guerra contro la malattia; i coloni, meno litigiosi per indole (poiché alle origini erano sottomessi – in base alla teoria – dai guerrieri), più sensibili, forse partoriranno spontaneamente immagini differenti da una lotta, ma non per forza meno potenti; i nomadi infine, che cercano sempre il cambiamento, esperienze e cose nuove, sono più schietti e spontanei, più giocherellone e ironici, meno organizzati dei guerrieri, ma sicuramente più creativi e più inclini a godersi il lato positivo della vita senza curarsi troppo dell’etichetta, creeranno realtà ancora differenti, magari più divertenti, prendendosi beffe della malattia.
Non tutto ciò che va bene per me, dunque, deve necessariamente andare bene per gli altri!
Mi sono chiesta, in sintesi, se persone poco combattive nella vita non possano fare troppa fatica ad immaginare un esercito, una guerra, e non possano invece trarre maggiore beneficio da immagini meno “aggressive”, con un approccio più soft ma ugualmente decisivo e incisivo sulla malattia. La sdrammatizzazione, la ridicolizzazione, l’ironia e anche il sarcasmo non vanno forse in questo senso? Tolgono potere all’oggetto persecutore. La via della non-violenza non è per forza meno efficace della lotta a muso duro, e spesso è strategicamente meglio “farsi amico un nemico” piuttosto che combatterlo.
L’idea, nello specifico, mi è venuta leggendo questo libro di mia figlia, nato per aiutare i bambini ad esorcizzare gli incubi notturni con l’ironia. “Se arriva un drago, o mammamia, io so cosa fare per cacciarlo via: faccio il buffone, per rompere il ghiaccio… e quel burlone diventa un pagliaccio!” “Se arriva un fantasma dal lenzuolo bianco, alzo la mano, l’altra sul fianco, poi grido forte: <<Biancolavato!>>… e quello vien steso insieme al bucato!”. La strega diventa Befana se le metto in mano una calza e due dolcetti e così via…
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Immaginate dunque, se vi fa piacere e soprattutto se “vi viene facile”, cavalieri che sguainano le spade su cavalli bianchi, oppure coraggiosi e fieri combattenti dotati di spade laser. Ma se non doveste riuscirci, forse potreste pensare di immaginare non una lotta, ma un “addomesticamento” della patologia, un lupo che diventa un cagnolino mansueto che porge la zampa e poi se ne va scodinzolando?, oppure un mucchio di polvere che viene spazzata via da una scopa enorme di saggina?, un cubo di ghiaccio che si scioglie al sole?
Voi che ne pensate?
Questo metodo può essere validissimo, con qualche accorgimento, anche per i bambini malati. Ve ne parlo qui!