Potevo guardare i Mondiali di calcio 2014 dimenticandomi per un attimo di essere una psicologa?? Ovviamente no! La deformazione professionale mi ha indotto a soffrire come tutti i tifosi sulla mia poltrona, ma anche a maturare alcuni spunti di riflessione che ora condivido qui sul blog, sapendo che il titolo del post non è dei più originali, ma consapevole anche che ciò non esclude che io possa dare la mia personale interpretazione del tema.
Lo sport è veramente una metafora della vita, ed è per questo che, tra le altre cose, è benefico per la salute: obiettivi, vittorie, sconfitte, fatica, soddisfazioni, crisi, esaltazione, solitudine, senso di appartenenza, coraggio, progetti, cambiamenti… sono tutti concetti che accomunano la vita e lo sport, quasi a confonderne i confini.
Per riuscire nella vita – e quindi “vincere” – bisogna avere talento, ma occorrono anche altre virtù quali la resistenza (la forza d’animo), il coraggio, l’intelligenza (in varie forme), talora la scaltrezza, l’allenamento…e un pizzico di fortuna!
Il calcio aderisce particolarmente bene a questa metafora: in campo ci sono regole precise e chi le infrange viene punito, più o meno severamente (almeno in teoria… proprio come nella vita), c’è un allenatore (come nella vita ci sono gli insegnanti o gli stessi genitori) più o meno validi, più o meno competenti, più paternalistici o più severi, ci si confronta/scontra con nemici e ostacoli, ci sono conflitti anche con chi sta dalla nsotra stessa parte, si gioca uno specifico “ruolo”, che a volte è congeniale e a volte meno e, spesso, il miglior giocatore, quello più apprezzato, è quello più versatile, che ha competenze più trasversali.
Talvolta nella vita qualcuno decide arbitrariamente per noi; a volte noi facciamo uno sgarro/sgambetto/fallo a qualcuno, volontariamente o involontariamente, o ne subiamo uno e reagiamo nelle maniere più imprevedibili; qualcuno, più arrivista e competitivo, “entra a gamba tesa” sui colleghi per attirare l’attenzione del capo; qualcuno “va fuori gioco” in troppe situazioni; qualcuno morde gli avversari come un bambino di 2 anni, dimostrando come, anche da adulti, alcune persone non riescono a gestire adeguatamente la rabbia e la frustrazione; qualcuno di fronte ai problemi “va dritto in porta”, mentre qualcun altro “fa melina” e procrastina il da farsi, prende tempo… ed essendo che “la palla è rotonda” non si può mai scommettere con certezza sul risultato finale di nessuna partita: la vita è imprevedibile. Rotola …
Nel calcio, come nella vita, c’è chi attacca, c’è un leader che primeggia, chi invece para i colpi e difende se stesso e gli altri, e infine chi vive “una vita da mediano” (cit.Ligabue, “Una vita da mediano”, album Miss Mondo 1999). Non tutti nascono con il numero 10 sulle spalle, ma questo non vuol dire che il ruolo del mediano non abbia un suo valore: è anzi un ruolo di qualità, di responsabilità, anche se un po’ nell’ombra.
<<Una vita da mediano,
a recuperar palloni
nato senza i piedi buoni,
lavorare sui polmoni;
una vita da mediano con dei compiti precisi
a giocare generosi,
sempre lì, lì nel mezzo
finché ce n’hai stai lì>>
(Testo tratto da: www.angolotesti.it)
Non vivendo da eremiti ma in una collettività, tutti dobbiamo imparare a “fare squadra”, in famiglia o sul lavoro, e chi pecca di presunzione o egoismo, spesso mette a repentaglio il risultato finale collettivo; in effetti le squadre coese (.. e la nostra Nazionale non ha brillato per condivisione!) sono quelle più vincenti, e ogni squadra nazionale, con le sue caratteristiche tecniche, in fondo, può paragonarsi una modalità dell’Essere (come direbbe Spinoza): una più organizzata, una più indolente, una più fantasiosa, ecc.
Le ultime due partite giocate dalla nostra Nazionale hanno poi dimostrato senza ombra di dubbio come, nel calcio, l’andamento di una partita possa subire un radicale e improvviso cambiamento di rotta a seguito della realizzazione di un goal, a prescindere dalla squadra che segna, o comunque di un “evento imprevisto” (un rigore ingiustamente assegnato, un infortunio, ecc.): nel calcio, come nella vita, sono gli episodi – spesso imprevedibili – a governare il campo, a dispetto di prestazioni faticose ed eccellenti ma senza risultato.
Ma allora qual è l’atteggiamento più efficace per reagire “sul campo” da parte di chi subisce la rete? Come limitarne la ripercussione psicologica?
Un goal subito, come una qualsiasi esperienza negativa, è uno stressor potente e improvviso e ripropone una tipica situazione di “body allarm reaction”, cui la mente umana può rispondere secondo la duplice modalità attacco/fuga (analogamente al comportamento degli animali di fronte al pericolo), scelta che risulta determinante nell’assunzione rapida di decisioni e condotte il più possibile conservative.
Ripiegare su un atteggiamento puramente difensivo (fuga), risposta istintiva e assai frequente, è rischioso: ogni indugio del comparto di attacco ma, ancor di più, del centrocampo (ombelico dell’organismo squadra) diviene pericolosa espressione di paura, remissività, cedimento psicologico, decapitazione del potenziale. Viceversa, la risposta di attacco, che comporta anche l’adesione ad un profilo di assunzione del rischio, evita il raffreddamento emotivo, mantenendo elevata la risposta adrenalinica al trauma e predisponendo ad un’azione muscolare più efficace. È necessario che, subito dopo aver incassato una rete, i giocatori non perdano lucidità e mantengano una percezione corretta e il più possibile realistica del campo e dei movimenti degli avversari. Linee, colori, rumori, dimensioni, profondità sono categorie altamente soggette a distorsione delle percezioni da stress, fattore alla base dei numerosi errori prestazionali in questa fase.
Perdonate l’inciso più tecnico di psicologia del calcio, ma ciò che vorrei sottolineare è che di fronte ad un momento di débacle, lo stato emotivo può essere influenzato dallo stile di pensiero del singolo e dallo schema abituale di risposta individuale al pericolo, alla paura e, in sostanza, alle emozioni negative (frustrazione, tristezza, rabbia). Alcuni soggetti accusano uno stato di totale caduta della performance in situazioni stressanti mentre altri, nelle stesse condizioni, dotati di maggiori strumenti di elaborazione, presentano una risposta adeguata, se non addirittura più efficace. Individui predisposti a tollerare lo stress emotivo e abituati a reagirvi con coraggio (risposta opposta alla paura), anche in situazioni estranee al campo di calcio, tendono ad attivare più velocemente strategie di coping e ad assumere comportamenti funzionali. Ne consegue che tali competenze devono essere riconosciute come componenti fondamentali del “fattore umano” e, pertanto, individuate e rafforzate nel lavoro quotidiano di ogni “allenatore di Vita”.
La vita dunque come una carriera calcistica, un provino come un esame di maturità ed un rigore come come specchio dei propri valori sono le metafore che tra l’altro possiamo leggere tra le righe del magnifico testo di Francesco De Gregori “La leva calcistica del ’68” che riesce ad estrapolare tutto quello che di poetico ci può essere in questo sport.
<<Ma Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore,
non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,
un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.>>
(Testo tratto da: www.angolotesti.it)
Per tutte queste ragioni il calcio non può che essere considerato – pur con i suoi limiti (legati soprattutto all’aspetto motorio, essendo uno sport “unilaterale”, alla violenza negli stadi, ecc.) – un valido strumento di crescita per i bambini e i ragazzi. Mi capita spesso di consigliarlo ai genitori.
I ragazzi di oggi poi sono entusiasti del calcio: in fondo somiglia al computer, così preciso e inesorabile, senza scarti, somiglia al nostro tempo impersonale, in cui non c’è spazio per la giocata folle, per un’invenzione estemporanea. Io invece ho un po’ di malinconia per le partite di qualche anno fa, qualche decennio forse… con un po’ più di Coraggio, Altruismo, Fantasia.
Fonte info psicologia del calcio: http://www.silviacalzolari.com/reazione.htmllvi
Immagine: particolare della copertina de “La linea di fondo”, Claudio Grattacaso, Ed. Nutrimenti, 2014