Conoscere la memoria e i suoi meccanismi, le tecniche per ricordare o per dimenticare e i rimedi che attivano il cervello è molto affascinante. “Come vorrei avere una memoria d’elefante!” ci può capitare di pensare.
Eppure, siamo proprio sicuri che ricordare TUTTO, senza dimenticarsi nulla, sia così importante? A volte, anche senza rendercene conto, intasiamo il serbatoio della memoria (che ha una capacità limitata) con cose che, alla resa dei conti, non servono a nulla o valgono ben poco: accumuliamo ricordi inutili e rischiamo di perdere il contatto con quella che è la nostra memoria più profonda.
Automaticamente la nostra mente opera una selezione, fa economia di energie, e sgombra il campo da dati, nozioni, informazioni che sembrano di capitale importanza per il nostro Io, che vorrebbe avere il potere di controllare tutto, ma ai quali il nostro Sè più autentico rinuncia volentieri. Ecco perché, spesso, ci dimentichiamo il nome delle persone appena conosciute ad una festa, la lista della spesa, dove abbiamo parcheggiato l’auto, il titolo del libro sul comodino, ecc…. Alcune informazioni e alcuni stimoli esterni, anche nel caso migliore in cui catturano la nostra attenzione, se non c’è da parte nostra un lavoro attivo per consolidare il ricordo, restano per pochi minuti nella nostra memoria cosiddetta “a breve termine” e poi semplicemente svaniscono, ma non è nulla di cui preoccuparsi.
Penso che vi aspettereste da me, a questo punto, una tecnica di memorizzazione super-efficiente, ma la Rete è satura di questo tipo di post, perciò preferisco iniziare dall’esatto contrario: vorrei insegnarvi qualche tecnica di auto-aiuto per “dimenticare” o, meglio, per mantenere in memoria alcuni ricordi dolorosi in maniera alleggerita, sgravata dalle componenti che rovinano la qualità della vita e spesso del sonno.
In generale non è salubre che le persone vivano nel passato, lasciando che i ricordi invadano il presente: rimpianti e rimorsi, o anche ricordi positivi rivissuti con nostalgia, impediscono la crescita e il miglioramento. Di solito questo tipo di persone si identificano con il passato e le frasi tipiche sono: “Io sono quello/a che ha fatto quella cosa, che ha subìto quest’altra, ecc.”. Il futuro in questo modo non arriva mai perché il presente non ha spazio. Il punto è che il passato deve “passare”, deve essere archiviato. La vera felicità arriva vivendo nel presente, nel “qui e ora”. Diventa necessario, per queste persone, come per tutti noi, non implementare la memoria, bensì “perdere” parte della memoria, quella composta da ricordi che inquinano il presente: dobbiamo imparare a sotterrare, bruciare o disperdere al vento i ricordi che vorremmo allontanare da noi.
Una situazione estrema legata a ricordi dolorosi la vive chi ha subito un trauma, catastrofico o violento, ed ha sviluppato quello che la comunità scientifica ha denominato Disturbo Post Traumatico da Stress (meglio conosciuto con l’acronimo PTSD). Iniziamo con il dire che tutti gli eventi, anche apparentemente banali, possono essere vissuti come traumatici da alcune persone, perché per loro quel tipo di evento assume un significato personale e simbolico particolarmente difficile da elaborare: è questa la ragione per la quale nessuno di noi (neanche chi ha velleità da super-eroe) può sentirsi esentato dal rischio, prima o poi, di diventare vittima di questo disturbo. Il credere che solo le persone deboli o fragili incorrano in questo disturbo è un pregiudizio da sfatare.
Se tutti conosciamo il PTSD dei veterani di guerra (anche grazie alla copiosa filmografia) ed è facile pensare che dopo un terremoto, un incidente, una malattia grave, si possa sviluppare un disturbo, quasi nessuno immagina che anche un parto particolarmente difficile possa diventare traumatico, così come un aborto, un atto di bullismo, uno scippo, un intervento chirurgico molto temuto, un licenziamento, un divorzio e così via. Il trauma non è nell’evento: è nella persona, ed è pertanto estremamente soggettivo.
I principali disturbi, accusati cioè dalla maggior parte dei pazienti, sono riassunti dalla cosiddetta “triade sintomatologica”: intrusioni, evitamento e hyperarousal ossia iperattivazione/ipervigilanza. In particolare, si possono riscontrare tra gli altri sintomi:
- Flashback: un vissuto intrusivo dell’evento che si ripropone alla coscienza, “ripetendo” in maniera costante e imprevedibile, in diversi momenti della vita, il ricordo dell’evento. Questo sintomo è quello maggiormente rappresentato nei film (ad esempio quelli sui reduci dalla Guerra del Vietnam) quindi è facilmente identificabile.
- Numbing: uno stato di coscienza simile allo stordimento ed alla confusione.
- Evitamento: la tendenza ad evitare tutto ciò che ricordi in qualche modo, o che sia riconducibile, all’esperienza traumatica (anche indirettamente o solo simbolicamente).
- Incubi: che possono far rivivere l’esperienza traumatica durante il sonno, in maniera molto vivida.
- Hyperarousal: caratterizzato da insonnia, irritabilità, ansia, aggressività e tensione generalizzate.
Il PTSD necessita di psicoterapia, di psicoterapia “adatta” (che utilizzi cioè tecniche specifiche come l’EMDR), e quindi non è mia intenzione dilungarmi troppo sull’argomento. Tuttavia è importante che le persone imparino a conoscere questo disturbo, lavorino su di sè per rafforzare la resilienza e le strategie di coping (soprattutto se svolgono lavori particolari legati alla cura o al soccorso) e capiscano quando sono vittime di PTSD, chiedendo aiuto immediato ed impedendo che il disturbo si cronicizzi.
Ho deciso di parlarne nel blog proprio perché le vittime di traumi o chi soffre di PTSD spesso non chiede aiuto o smette di provarci dopo i primi (o il primo) tentativo non andato a buon fine. Questa situazione si mantiene per la co-occorrenza di alcuni fattori peculiari.
Innanzitutto, purtroppo non sempre i sintomi sono immediati: spesso i primi sintomi (insonnia, stanchezza, inappetenza, irritabilità, attacchi di panico “senza apparente contenuto”) iniziano settimane, a volte anche mesi, dopo l’evento traumatico. Così la persona può non collegare le due cose e non chiedere aiuto. Anche chiedendo aiuto, tuttavia, capita che la sindrome non sia riconosciuta, o perché la prima figura a cui si chiede aiuto per certi sintomi (così vaghi) è il medico di base (che non ha una formazione specifica per riconoscere i segnali d’allarme) o perché di fronte a sintomi difficili persino da descrivere molte persone preferiscono metodi di cura fai da te.
Ribadisco fermamente che il fai-da-te non è sufficiente in casi di disturbo vero e proprio! In questo contesto io mi limiterò a prendere in prestito una semplice tecnica di immaginazione guidata che viene, con alcune varianti, proposta durante le sessioni di terapia: nulla vieta che le tecniche professionali si possano utilizzare, in maniera più semplificata, per un intervento su tutti i nostri ricordi negativi non di natura traumatica, ma se vi rendete conto che i vostri problemi emotivi sono troppo grandi non aspettate a chiedere l’aiuto di un esperto!
Così come alcune tecniche immaginative possono rivelarsi utili per alleviare il dolore fisico, allo stesso modo la nostra immaginazione può essere sapientemente utilizzata per diminuire, fino a dissolvere, il dolore psichico legato agli eventi negativi.
Iniziamo!
Il primo esercizio che vi propongo possiamo chiamarlo “rewind” (la vera tecnica per il PTSD si chiama “Rewind Technique” ed è stata proposta da David Muss e non è così diversa dalla Fast Phobia Technique che la PNL propone per le fobie: prima o poi parlerò!), rewind proprio come il tasto del telecomando e la relativa funzione che ci consente di mandare indietro un film o una canzone.
Si tratta di immaginare di trovarsi in un luogo “sicuro” (ossia un luogo nel quale ci sentiamo bene, non necessariamente felici, ma tranquilli) mentre, comodamente seduti in poltrona, guardiamo la TV ed abbiamo in mano un bel telecomando (non guasterebbe tenere in mano realmente qualcosa che simuli il telecomando). Immaginiamo poi di fluttuare fuori dal nostro corpo e di guardare noi stessi mentre osserviamo lo schermo (si crea così una doppia dissociazione ed una benefica presa di distanza dall’evento ricordato come doloroso). Il film, che inizia un momento prima che sia accaduto l’evento spiacevole e termina non appena esso è finito, può essere “manipolato” grazie al telecomando, facendo scorrere le immagini indietro rapidamente, andando così da un momento sereno e “sicuro” a un altro momento “sicuro” (inizio/fine) senza soffermarsi sulla parte centrale cruciale. In questo modo ci si rende conto che esiste una “fine” e che tutto può tornare come era al “momento -1”, prima dell’evento critico. In alcune varianti dell’esercizio, o contemporaneamente al rewind, il film può essere reso muto, fatto diventare in bianco e nero (togliendo ulteriormente quindi la coloritura emotiva), fatto rimpicciolire sullo schermo fino a diventare un piccolissimo puntino nero e poi scomparire. Possiamo fare tutto ciò che vogliamo: del resto abbiamo un telecomando magico!
Il secondo esercizio che vi propongo e che non ha nulla a che vedere con il PTSD possiamo chiamarlo “Sfilacciamo i brutti ricordi”. Tutti noi possiamo infatti trovarci di fronte a situazioni intricate, di difficile comprensione e risoluzione, che ci ritornano in mente all’improvviso, anche nei momenti di relax, prima di addormentarci o addirittura appena svegli, rischiando di rovinarci la giornata. Per ridurre il senso di impotenza che questo vissuto spesso porta con sé, e il timore che si trasformi in un’ossessione, possiamo ricorrere a questo espediente immaginativo: evochiamo una rappresentazione in cui siamo impegnati a sfilacciare lentamente, con le mani, la trama di un tessuto, alla quale avremo associato la condizione di cui vogliamo liberarci. Insieme alla trama del tessuto, potranno così dissolversi anche le sensazioni ad essa legate.
Se il ricordo negativo assume invece una connotazione di tristezza, possiamo tentare di soffiarla via grazie ad un soffione immaginario, esercizio questo che ho già inserito tra le tecniche di auto-aiuto. I piccoli punti bianchi che compongono il fiore si disperdono all’aria con ogni espirazione profonda (secondo la tradizione cinese la tristezza ha sede proprio nel polmone!), allentando la sensazione fisica di oppressione e, per analogia, disperdendo i ricordi tristi.
Se il ricordo ci fa innervosire o arrabbiare furiosamente (come quando subiamo un’ingiustizia e non riusciamo, nella realtà, a reagire come vorremmo, portandoci dietro un senso di frustrazione greve e deleterio per la nostra autostima), immaginiamoci sulla spiaggia al mare mentre saltiamo su una pallina colorata, rappresentativa della situazione: potremo così scaricare a terra la rabbia repressa, vedendo sparire sotto il peso del nostro corpo la pallina nella sabbia e facendoci “seppellire” la situazione che tanto ci ha innervosito. Questo esercizio possiamo chiamarlo “Pestare i piedi per seppellire la rabbia”.
Vorrei farvi notare a questo punto che, per la semplicità estrema, queste ultime tecniche vanno bene anche per i bambini!
In tema di situazioni da dimenticare non possono certo mancare le sofferenze d’amore: l’immagine più significativa a cui ricorrere è quella del fuoco (“Bruciare i dispiaceri d’amore”), fuoco che è elemento purificatore per eccellenza che ci consentirà di mantenere il ricordo del rapporto (che sicuramente ci ha fatto soffrire ma anche gioire), mondato però delle sue componenti spiacevoli. Immaginiamoci allora seduti in poltrona ad osservare un caminetto nel quale sta bruciando un pezzo di legno, che piano piano prima diventa brace e poi cenere.
L’esperienza immaginativa che avete scelto va ripetuta finché non capite che le sensazioni dolorose associate al ricordo si sono azzerate o, perlomeno, ridotte a livelli accettabili. Ripetete fino a quando l’ansia associata al ricordo non sarà diminuita… insomma, insistete, con cautela, e se avvertite maggiore disagio o un qualche tipo di peggioramento ovviamente interrompete. Fatemi sapere i vostri esperimenti! Io sono a disposizione per eventuali chiarimenti!
Fonti info: “Speciale Cervello: memoria e lucidità mentale”, Riza, 2007 – Wikipedia per la sintomatologia del PTSD – sulla tecnica Rewind http://www.hgi.org.uk