Non leggiamo più come una volta

Dal momento che amo complicarmi la vita, ho approfondito la tesi che vuole gli italiani sempre più ignoranti e poco inclini a dedicarsi alla lettura: l’ho fatto perché mi sembrava una conclusione semplicistica e, occupandomi anche di didattica, volevo comprendere meglio la situazione. Ho trovato un articolo molto interessante che merita un po’ della mia attenzione anche se, alla fine, non credo sia esaustivo e mi lascia con gli stessi punti interrogativi di prima, forse anche di più.

Nell’articolo si sostiene che non è vero che le persone – non solo gli italiani – leggono meno: leggono in modo diverso, in modo più superficiale.I neuroscienziati cognitivi fanno notare come gli esseri umani sembrano sviluppare, parallelamente al dilagare della tecnologia e delle informazioni online (che vanno a sostituire quelle cartacee), “cervelli digitali”, con nuovi circuiti per scorrere e filtrare la corrente di informazioni online. Questo tipo alternativo di lettura, più superficiale, sta entrando in competizione con i circuiti di lettura profonda sviluppati nel corso di diversi millenni.

Lounging Leigh

Molti frequentatori del web possono rendersi facilmente conto di questa modalità di lettura “poco concentrata”: si clicca su un link magari trovato sui social network, se ne leggono alcune righe, cercando le parole attraenti, e poi ci si stufa e si passa alla pagina successiva, dalla quale probabilmente ci si distrarrà altrettanto in fretta. Qualche secondo, qualche minuto al massimo e poi il cervello va oltre.

L’allarme nasce dalla constatazione che questo tipo di lettura si sta diffondendo anche anche ai romanzi o ai libri di testo, ai saggi, dove le parole dovrebbero essere invece assorbite, dove è necessaria maggiore profondità.

«Ho paura che il modo superficiale con cui leggiamo durante il giorno ci influenzi quando dobbiamo invece leggere con elaborazioni più approfondite», dice Maryanne Wolf, una neuroscienziata cognitiva della Tufts University che ha scritto “Proust and the Squid: The Story and Science of the Reading Brain”.

Se la crescita delle tv all-news 24 ore su 24 ha dato al mondo una cultura di brandelli sonori, secondo questa studiosa Internet sta introducendo una cultura di brandelli visivi. Il tempo passato online dagli americani adulti – sui computer o i dispositivi mobili – dovrebbe aver raggiunto le cinque ore quotidiane nel 2013, stando alle valutazioni di eMarketer: tre ore in più rispetto al 2010.

Amanti della lettura e studiosi hanno invocato un movimento “slow reading”, facendosi ispirare dal movimento “slow food”. Combattono non solo le cavalcate superficiali sulle frasi ma le incessanti tentazioni che balenano sui nostri apparecchi ad opera dei social network e delle mail, i trilli e popup.

I ricercatori stanno lavorando per avere un quadro più chiaro delle differenze tra la lettura online e quella su stampa – la comprensione del significato, tanto per cominciare, sembra migliore su stampa – e si confrontano con quello che queste differenze possono significare non solo rispetto a godersi l’ultimo romanzo del nostro scrittore preferito, ma anche con la comprensione di contenuti difficili sul lavoro e a scuola.

Ci sono preoccupazioni che l’affinità e la capacità di governare gli apparecchi dei genitori da parte dei bambini possa limitare lo sviluppo di capacità di lettura più approfondita. Il cervello è la vittima innocente di questo nuovo mondo: si limita a riflettere il modo in cui viviamo. «Il cervello è duttile per tutta la sua vita, si adatta costantemente», spiega Wolf, che è una dei massimi esperti mondiali sullo studio della scrittura e fu colpita l’anno scorso dalla scoperta di come sembrasse essersi adattato anche il suo, di cervello.
Dopo un giorno passato sul web e leggendo centinaia di mail, si sedette a leggere “Il gioco delle perle di vetro” di Herman Hesse, e «non sto scherzando: non ci riuscivo. Era una tortura riuscire a concludere la prima pagina, non riuscivo a forzarmi a rallentare: selezionavo le parole utili, organizzavo il movimento degli occhi per raccogliere più informazioni nel minor tempo possibile. Mi vergognavo di me stessa».

Il cervello non è progettato per leggere. Non ci sono geni per la lettura come ce ne sono per il linguaggio o la vista. Ma spinto dall’emergere dei geroglifici egizi, dell’alfabeto fenicio, dalla carta cinese e, infine, dalla stampa di Gutenberg, il cervello si è adattato a leggere.
Prima di internet, leggeva soprattutto in modi lineari: a una pagina ne seguiva un’altra, e così via. Certo, ci potevano essere immagini mescolate al testo, ma tendevano a esserci poche distrazioni. Leggere la stampa ci ha dato anche una notevole abilità nel ricordare dove trovare le informazioni fondamentali in un libro anche solo a partire dalla sua impaginazione, dicono i ricercatori. Capiamo che il protagonista muore nella pagina con i due lunghi paragrafi dopo tutto quel dialogo.

Internet è diversa. Con tante informazioni, testo linkato, video e parole mescolate e cose interattive ovunque, i nostri cervelli creano scorciatoie per orientarsi, scorrendo velocemente su e giù e cercando parole chiave. È un tipo di lettura non lineare che è stato descritto anche in diversi articoli accademici. Alcuni ricercatori pensano che per molte persone questo stile di lettura stia diventando predominante anche quando abbiamo a che fare con strumenti di lettura più tradizionali.

Andrew Dillon, un professore dell’Università del Texas che si occupa di studiare le abitudini di lettura, ha detto: «Passiamo così tanto tempo toccando, schiacciando, linkando, scorrendo e saltando su e giù attraverso le pagine scritte che quando ci sediamo per leggere un romanzo lo facciamo nello stesso modo: le nostre abitudini quotidiane di linkare, cliccare e scorrere su e giù sono radicate in noi».

Wolf spiega che diversi direttori di Dipartimenti di letteratura inglese le scrivono confermandole che sono ormai molti gli studenti che faticano a leggere i classici.

Per fare un esempio del problema, ci invita a pensare a Twitter: «Tutta la sintassi si perde, e la sintassi è il modo in cui esprimiamo pensieri complessi. Temo che perderemo la capacità di leggere e scrivere questo tipo di prosa articolata. Chissà, forse diventeremo cervelli da Twitter».

Non voglio sembrare nostalgica ad oltranza, la tecnologia è entrata nella vita di tutti apportando notevoli benefici, anche – e soprattutto – per i disabili o per chi ha difficoltà con l’apprendimento tradizionale, ma mi piacerebbe pensare al computer come ad un qualcosa che “aggiunge” e non “toglie” competenze, soprattutto ai bambini.

Il discorso di amplia pensando alla calligrafia, vera e propria arte dal destino incerto. Avremo modo di riparlarne..

Perché l’introduzione di novità deve sempre significare sacrificio di ciò che è stato? Non si può conservare qualcosa? Sarebbe auspicabile, a mio parere, sviluppare menti con uguale dimestichezza per diversi modi di leggere: un modo più lento e attento per alcuni tipi di testo e invece più dinamico per altro materiale.

La lettura di un romanzo è appagante, rigenerante, terapeutica come poche cose: non possiamo permetterci di fare perdere alle nuove generazioni questa opportunità emotiva e sensoriale.

Come si potrebbe leggere Moby Dick continuamente interrotti da pop up e squilli di vario genere?? Come immaginare di non poter più godere di un incipit così spettacolare?!? Le prime due parole aprono un mondo… Il mio animo si ribella…

<<Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto>>

Fonte info: articolo 7 aprile 2014 www.ilpost.it © Washington Post 2014

Foto: l’attrice Vivian Leigh nel 1935, Sasha/Getty Images

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