Le abilità visuo-spaziali: esercizi per grandi e piccini

Dopo aver dissertato ampiamente di intelligenze multiple, di stimolazione intellettiva precoce, cioè in età prescolare, voglio offrire un esempio concreto – iniziando, per scelta, dallo sviluppo delle abilità visuo-spaziali – per rendere ancora più chiaro il mio pensiero: voglio far comprendere il perché io sostengo in modo forte che è importante sollecitare i bambini con stimoli interessanti, scelti con cura, non solo all’Asilo Nido o alla Scuola dell’Infanzia, ma anche a casa, e allo stesso tempo come questa stimolazione, essendo un nutrimento per l’innata curiosità dei bambini, sia sempre da viversi come un gioco e non come una forzatura o una noia, né per i piccoli stessi né per i genitori.

Si tratta di “giocare seriamente”!

Perché iniziare dalle abilità visuo-spaziali? Perché sono in assoluto il prerequisito più importante, essenziale, per tutto il futuro apprendimento.

I prerequisiti sono sotto-abilità specifiche che operano sinergicamente affinché un’abilità generale (lettura, scrittura, ecc.) possa emergere ed evolversi in modo organizzato. Un lieve ritardo dei prerequisiti di apprendimento non comporta obbligatoriamente compromissioni nel processo di apprendimento, ma l’assenza o il significativo ritardo nello sviluppo delle competenze di base costituisce un campanello di allarme che dovrebbe spronare insegnanti e genitori ad intervenire tempestivamente per favorire, per potenziare, l’acquisizione di tali competenze

Le abilità visuo-spaziali, nello specifico, si riferiscono alla capacità di integrare le informazioni che provengono dallo spazio percettivo, di utilizzarle e organizzarle per svolgere adeguatamente differenti compiti.

Tutti noi usiamo quotidianamente le abilità visuo-spaziali in svariate attività pratiche (orientarci, riconoscere un volto, cercare le chiavi, parcheggiare l’auto, ecc.).

Alcuni di noi hanno addirittura uno stile di apprendimento che privilegia il canale visivo-cinestesico  (in gran parte dipendente dall’emisfero destro del cervello, legato alle immagini e ad una percezione globale della realtà) rispetto a quello uditivo; Gardner ha utilizzato il termine “intelligenza visuo-spaziale” per indicare esploratori, cartografi, architetti, ecc., cioè tutti coloro che si distinguono per il loro eccellere in determinate discipline e ambiti dove le abilità visuo-spaziali sono fondamentali. Non è garantito che persone con questa intelligenza specifica siano bravi allievi, ottengano voti eccellenti, perché la scuola privilegia un apprendimento verbale, più lineare, più sequenziale e analitico. Se tuttavia bambini con queste caratteristiche – essendo evidente che l’intelligenza spazio-visuale ha un intimo rapporto con l’immaginazione, intesa come capacità della mente umana di rappresentare qualcosa in sua assenza – venissero valorizzati sin dall’età più precoce, almeno non sprecheremmo un patrimonio di artisti, musicisti e scienziati in erba!

L’altra faccia della medaglia è quella relativa a chi, adulti e bambini, mostra abilità visuo-spaziali deficitarie. Gli adulti forse, nella quotidianità, riescono ad adattarsi meglio dei bambini, trovano una propria “nicchia” professionale, e compensano le lacune dell’austostima facendo un bilancio di competenze che metta in luce, nelle scelte professionali, altre abilità.

parcheggiare l'auto

Un bambino con scarse abilità visuo-spaziali, invece, pur perfettamente adeguato – anzi, dotato! – da un punto di vista verbale, presenterà difficoltà in TUTTE le materie scolastiche.

In matematica si avranno errori dovuti all’incapacità di incolonnare le cifre, per l’impossibilità di distinguere i segni operatori, ossia “+” e “x”, ecc.; in geometria è intuibile come possano esserci difficoltà nel riconoscere le figure, mentre nel disegno il bambino faticherà a rappresentare i corretti rapporti spaziali (avremo persone più alte di alberi e così via); in scienze non riuscirà a comprendere grafici e tabelle, né la relazione spazio-temporale tra gli eventi e il concetto di causa-effetto… ma anche in materie apparentemente “lontane” da questo dominio ci saranno peculiari difficoltà: nella lettura ci possono essere difficoltà a seguire il rigo, confusione tra lettere specifiche simili ma orientate diversamente nello spazio (“p” e “q” oppure “b” e “d”) ed infine sono probabili difficoltà di comprensione del testo quando è necessario collegare testo e immagini o se il brano ha un forte contenuto visuo-spaziale (sopra/sotto, ecc.)… e potete facilmente dedurre che se non si comprende un testo non solo non si riescono a risolvere i problemi aritmetici, ma non si riesce a studiare proprio nulla! Le difficoltà si riscontrano ovviamente anche nell’orientamento e nella coordinazione della motricità grossolana e fine.

Tutto queste difficoltà, tradotte in insuccessi scolastici, in voti negativi, hanno pesanti ripercussioni sull’autostima del bambino e sul suo mondo relazionale.

Ecco allora che se diventa necessario prima di tutto OSSERVARE l’eventuale presenza di questi deficit il più precocemente possibile: a scuola a volte (sottolineo: a volte) si effettuano screening specifici, con strumenti standard, ma può essere troppo tardi, e quindi spetta al genitore o all’insegnante motivato osservare (con atteggiamento neutro!) i piccoli mentre giocano spontaneamente oppure sono messi di fronte a giochi scelti ad hoc.

L’osservazione va di pari passo con il POTENZIAMENTO di queste abilità: possiamo lasciare il bambino libero di esercitarsi da solo, fino a quando alcune abilità diventano automatiche, oppure affiancarlo e stimolarlo a fare “qualcosa in più”, con difficoltà graduale, e quando vediamo che gli errori si ripetono, possiamo intervenire, accompagnarlo passo passo con attività sempre più mirate. Più il bambino è piccolo e più è semplice potenziare alcune abilità, colmare eventuali lacune, prevenire l’insorgere di ritardi e di disturbi veri e propri.

Queste considerazioni valgono ancor più nel momento in cui un disturbo è conclamato e necessita di un vero e proprio TRATTAMENTO CLINICO: la tempestività è essenziale! Ci sono, intuitivamente, maggiori garanzie di miglioramento lavorando con un bambino piccolo piuttosto che con un bambino che ha già sperimentato anni scolastici di fallimento e nel quale, quindi, al deficit funzionale, ad una minore plasticità del cervello, si aggiungono demotivazione e scoraggiamento!

I bambini con Disturbo d’Apprendimento (compresa dislessia, disortografia, discalculia ecc.) non sono per definizione “stupidi”: sono anzi bambini intelligenti, magari molto intelligenti, che hanno una difficoltà specifica, spesso circoscritta, che li penalizza in ambito scolastico e quotidiano. Purtroppo loro non sanno come interpretare la difficoltà che si trovano ad affrontare; si vedono diversi dai compagni di classe, fanno più fatica, si stancano presto e la risposta che spesso si danno per dipanare la matassa è generalizzata a tutta la persona: “sono stupido” pensano, e questo stato d’animo negativo condiziona inevitabilmente i loro comportamenti, le loro azioni ed i loro pensieri.

In particolare, esiste un disturbo di apprendimento, Il Disturbo Non Verbale, che è una condizione in cui sono presenti tutte le difficoltà scolastiche sopracitate, che non è ancora annoverato nei manuali diagnostici, ma che è entrato nel campo di interesse di tutti coloro che si occupano di apprendimento a vario titolo, proprio perché ha svariate ripercussioni sull’adattamento personale e scolastico del bambino. Soprattutto in questo caso, l’assenza di diagnosi non può e non deve diventare un alibi per non intervenire!

Quando esiste un disturbo di apprendimento scolastico, diagnosticato o meno, i genitori devono necessariamente allearsi con con i figli nel training riabilitativo che verrà loro proposto dai professionisti e che, se li vede complici, sarà più semplice affrontare; devono resistere quando la noia, la stanchezza prendono il sopravvento; devono mostrarsi propositivi anche quando i figli si mostrano oppositivi perché fanno fatica e il compito è frustrante. La situazione di disturbo va normalizzata, mostrando le difficoltà ma anche i punti di forza: solo se siamo onesti con i bambini li renderemo sicuri di sé stessi! In sintesi: non fingete che i disturbi non esistono, ma accogliete il malessere, premiate sempre l’impegno e mai il risultato, elogiate ogni piccolo passo in avanti mostrandovi entusiasti per ogni minimo miglioramento e non disperate per qualche giornata “no”. Le difficoltà si possono superare con la volontà, la forza ed il gioco di squadra: ricordiamolo sempre!

Le attività che genitori e insegnanti possono fare con i bambini per osservarli o per potenziare le abilità visuo-spaziali sono svariate e semplici; possiamo trovare spunti interessanti nei “giochi di una volta” o nelle riviste di logica ed enigmistica per bambini: pensiamo alla tombola, al Memory, alla battaglia navale, ai puzzle, al Tetrix, ma anche ad attività carta e matita come ricopiare figure di diversa complessità, tracciare labirinti, ecc.

Ognuna di queste attività è sostenuta da competenze cognitive differenti, ma dal momento che non abbiamo l’ambizione di emulare i clinici, non è necessario sapere tutti i dettagli: è sufficiente variare un po’, saper decidere quando è ora di insistere dolcemente per far completare un esercizio e invece quando è bene interrompersi prima dell’insorgenza della noia o del rifiuto, senza andare in ansia di fronte ad eventuali difficoltà, senza amplificare i errori. Ricordiamo sempre che il gioco ci aiuta a far affrontare le sfide dei bambini senza correre rischi per la loro autostima a patto che noi adulti metabolizziamo per loro i fallimenti nel modo corretto.

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Gli stessi giochi, con difficoltà crescente, possiamo farli anche noi adulti come attività di “brain training”, soprattutto se ci sentiamo carenti da un punto di vista delle abilità visuo-spaziali, ossia quando ci capita di parcheggiare l’auto come nell’immagine sopra riportata!

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