Vorrei una scuola …

Vorrei una scuola con i banchi messi in cerchio o dove, perlomeno, si considerasse la disposizione dei banchi come una risorsa strategica per migliorare l’apprendimento e la relazione tra pari e non solo come consuetudine.

Una scuola fatta dunque di dettagli, apparentemente minuscoli e in realtà macroscopici, dove i nostri figli entrassero in un ambiente scrupolosamente preparato da mani attente e consapevoli. Soprattutto quando i bambini sono piccoli, i dettagli fanno la differenza. Le parole di accoglienza e di saluto della maestra sono importanti tanto quanto gli insegnamenti, capaci di raddrizzare una luna storta o al contrario di fra venire il mal di pancia varcando il cancello d’entrata.

Vorrei una scuola con insegnanti brillanti, colti, equilibrati, appassionati, rigorosi e precisi, selezionati accuratamente e poi retribuiti come i neurochirurghi, perché hanno tra le mani quanto di più prezioso esiste al mondo, il benessere dei bambini e dei ragazzi.

A me piacerebbe una scuola in grado di scoprire e valorizzare le intelligenz-e ed eventualmente i talenti di ogni singolo alunno, senza distinzione tra competenze manuali e quelle di tipo più concettuale. Una scuola che punta allo sviluppo globale, a 360°, dell’alunno. Un bel giardino, un bell’orto e magari un laboratorio di falegnameria per i più grandi. Un prato enorme con tanti alberi d’alto fusto all’ombra dei quali fare merenda, riposare o anche leggere un libro.

Forse, se non è utopia (più di tutto il resto!), una scuola libera dai programmi, che possono essere linee guida durante l’anno scolastico, lo comprendo, ma di fatto, nella loro rigidità, diventano un giogo ed hanno spesso l’unico risultato di demotivare gli insegnanti più bravi e di uniformare le menti degli alunni.

Una scuola bi-direzionale dove ogni alunno venisse spinto a considerarsi in qualche modo maestro, in un rapporto di reciproca conoscenza tra pari, dove l’apprendimento avvenisse quasi in maniera “naturale” e spontanea, facilitato da dibattiti, prove ed esperimenti.

La scuola che vorrei non premia e non punisce, ma gratifica l’alunno e lo mette nella condizione di provare “gusto” nell’apprendimento. Non interrompe chi sta scrivendo un tema solo perché è suonata la campanella, mortificando la sua ispirazione.

Nella scuola che immagino la matematica non fa paura ma diverte perché “il mondo è numeri, matematica e figure geometriche” e le lingue straniere sono studiate per ciò che sono, cioè una materia viva che va ben oltre il dizionario. E oltre all’inglese proporrei sempre altre lingue, spagnolo, cinese.. magari l’Esperanto… perché no??

Mi piacerebbe una scuola con tanti laboratori, musicale, teatrale, linguistico, senso-motorio. Non si può trovare uno spazio nella giornata, anche piccolo, da dedicare alla musica ed un altro per imparare l’inglese? O per cantare in inglese???

E nella quale, secondo il principio di mens sana in corpore sano, si facesse sport e non ginnastica. L’apprendimento in movimento e tante ore all’aria aperta.

Vorrei una scuola nella quale i bambini e i ragazzi si sentissero un po’ come in una seconda casa e quindi imparassero ad averne cura e cooperassero per renderla un ambiente armonioso e gradevole.

Tra le materie obbligatorie inserirei educazione alimentare (meglio prevenire che curare!), insegnerei ad assaggiare tutti i sapori e a godere dei profumi del profumo; inserirei Rispetto, rispetto per ogni persona ma in generale per ogni animale e ogni forma di vita, per l’ambiente e il mondo che ci circonda.

Una scuola dove “religione” ed “educazione spirituale” fossero sinonimi e quindi non ci si ponesse il problema se mantenere o meno il crocifisso in classe, se fare il Presepe o l’albero con le palline, perché sarebbe giusto e arricchente che, accanto alla storia di Gesù, alle parabole ed alle vite dei Santi, si narrasse anche la vita del Buddha, il significato del mandala e dei mantra, si recitassero le preghiere tibetane e si spiegasse che anche i Musulmani hanno un rosario con 99+1 grani e che la Menorah è il candelabro a 7 bracci dell’Ebraismo, dove il numero 7 è sacro.

Una scuola che assomigli sempre di più al Mondo, dove “interculturalità” non si traducesse solo in una merenda con i piatti tipici, o in progetti estemporanei e temporanei, ma dove – abbandonando ogni forma di sterile campanilismo – si facesse tesoro delle strategie didattiche delle diverse culture.

Una scuola dove la tecnologia (i software e gli strumenti multimediali), che ormai non si può ignorare né tanto meno escludere, si integrasse in modo armonico con l’insegnamento tradizionale.

Una scuola che permettesse – o, laddove necessario, insegnasse – ai genitori come essere veramente partecipi, co-costruendo la scuola insieme agli insegnanti.

Una scuola dove fare educazione nel senso del “portar via per condurre altrove” (l’espressione non è mia, perdonatemi, ma è troppo bella e me ne sono appropriata!) e una scuola dell’educarsi e del farsi educare nel senso del “trovarsi altrove e lasciarsi condurre altrove”… (*)

Per una scuola che assomigli al mondo

Bruno Tognolini

Nel mondo ci sono le terre ed i cieli
Non sono divisi in scaffali
Nel mondo ci sono le fiabe e le arti
Non sono divise in reparti
Nel mondo c’è un nido, che è la tua classe
Uscendo non trovi le casse
Nel mondo ci sono maestri un po’ maghi
Ci sono, non solo se paghi
Nel mondo il sapere che vuoi si conquista
Nel supermercato si acquista
E allora rispondi con una parola
Com’è che la vuoi la tua scuola?

scuola mondo

Ok, rientro sul Pianeta Terra e faccio qualche considerazione meno irrazionale.

Mia figlia ha due brave maestre alla Scuola dell’Infanzia, motivate e appassionate, apparentemente mai stanche, e nel mio lavoro ho avuto la fortuna di incontrare diversi insegnanti, di ogni ordine e grado, di differenti materie, veramente in gamba, sia da un punto di vista delle competenze (non diamolo per scontato!) sia a livello umano.

C’È SPERANZA SE QUESTO ACCADE!

So benissimo però che molti, troppi, insegnanti sono in burn out, “bruciati” ed esauriti nella propria professionalità e il sistema scolastico odierno fa acqua da tutti i buchi, con strutture obsolete e alunni demotivati: sembrano mancare le risorse economiche ma soprattutto le energie, non solo per un potenziale rinnovamento ma addirittura per il mantenimento di un livello qualitativo medio in termini di offerta formativa.

Secondo il mio modesto parere non è neanche vero, come sostengono molti, che “la scuola di un tempo era un’altra cosa” e che bisogna tornare al passato: affermarlo è una semplificazione di comodo, perché la scuola di un tempo doveva confrontarsi con una società meno complessa di quella odierna e più “ridotta”. Oggi una società multi-culturale e altamente competitiva pone enormi sfide a genitori ed insegnanti ed è necessaria molta riflessione e grande apertura mentale.

Allo stesso tempo, sono convinta che pensare di innovare le pratiche educative e formative “per decreto” (da sempre strutturalmente resistenti al cambiamento), sia un’illusione, e soprattutto che significhi accontentarsi di un trasformazione “di facciata”, superficiale, che lascia i problemi irrisolti, aggiungendone addirittura di nuovi: la scuola dovrebbe smettere di essere affare di Stato per diventare il bene di tutti, come l’acqua o l’aria, per evitare che diventi oggetto a disposizione di maggioranze politiche, burocratiche e di interessi privati. Oggi, a resistere nella scuola pubblica, devono essere prima di tutto gli insegnanti. Insegnanti che però devono fare autocritica, devono voler così bene alla scuola da rendersi conto di tutto ciò che non funziona e provino ad apportare piccole modifiche. Sono le gocce che scavano la roccia!

*(Citazione da Riccardo Massa Seduzioni, suggestioni e incantesimi nell’intervento formativo in: Nanetti F. (a cura di), “Fare formazione a scuola – Teorie e modelli, IRRSAE Emilia Romagna – Synergon, Bologna 1996, pp.27-41)

 

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