Chi ha paura di invecchiare??

Vecchio… sordo (e quindi BISOGNA aLzArE LA VOCE quando gli si parla). Vecchio… smemorato, rimbambito (bisogna parlare L.E.N.T.A.M.E.N.T.E), malato, debole, triste.. La percezione dell’anziano nell’immaginario comune è ricca di pregiudizi e stereotipi duri a morire. Leggete qualche poesia sulla vecchiaia e notate cosa hanno in comune: una tristezza infinita.

Il termine “terza età” è stato pietosamente introdotto per cercare di mascherare la connotazione negativa che con il tempo hanno assunto la parola “anziano” e prima ancora la parola “vecchio”.

Quando un anziano è “arzillo” spesso lo si guarda con sospetto e lo si addita come ridicolo.

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Io invece adoro i “vecchi”, i “grandi vecchi” con i volti grinzosi i capelli canuti (e magari le barbe come quelle di Babbo Natale!), gli sguardi liquidi, le mani che si appoggiano al bastone: li osservo e spesso mi commuovo, resto muta, sperando di cogliere in loro il coraggio di affrontare con serenità gli anni che stanno per arrivare, cerco di carpire brandelli delle loro piccole grandi storie di Vita che mi sembrano tutte affascinanti e degne di essere narrate in un romanzo. Ma forse anch’io sono di vittima di pre-giudizio positivo: forse non tutti gli anziani hanno qualcosa da insegnare, forse non sono tutti straordinariamente saggi come sembrano… chissà?!?

Nelle antiche civiltà questo era la norma: ai vecchi e alla loro esperienza veniva affidato il compito di guidare i giovani attraverso i pericoli del mondo. Erano apprezzati, valorizzati, rispettati. Erano una parte attiva e importante della società… E se porgiamo attenzione, anche nel panorama della società odierna o del recente passato ci sono stati anziani in posizioni di potere, di rilievo, punti di riferimento per le nuove generazioni, maestri di vita e guru di insegnamenti. Grandi vecchi che hanno dato lustro all’Italia. Facciamo dei nomi? Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, Indro Montanelli, Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Mario Monicelli.

In effetti il dizionario recita così: SAGGEZZA = capacità di valutare e affrontare le situazioni della vita con ragionevolezza e prudenza, utilizzando esperienze già provate. Saggezza è, potremmo dire, il contrario dell’audacia e della sventatezza. È sensatezza, è accortezza, è prudenza, è sapersi risparmiare, è capacità di valutare in modo corretto, ponderato ed equilibrato le varie opportunità scegliendo secondo ragione ed esperienza.

Stando a questa definizione è difficile nascere saggi: la saggezza/sapienza si acquisirebbe gradualmente con l’avanzare dell’età, come una sorta di ricompensa per la concomitante perdita di altre abilità psicofisiche. Un risarcimento per controbilanciare l’avvizzimento, la presbiopia, la dentiera, il sonno perduto e la memoria lacunosa.

In effetti, più si invecchia e più si ha la possibilità/necessità di sviluppare un investimento oculato delle proprie energie psicofisiche che stanno diminuendo (una sorta di carpe diem, di attitudine a cogliere le occasioni e allo stesso tempo a lasciar perdere dove non vale la pena accanirsi). Generalmente aumenta la capacità di sopportazione e diminuisce l’impazienza (avete presente l’atteggiamento delle persone anziane in coda dal dottore? È decisamente diverso da quello dei giovani!). Come se la mente si abituasse a fare, perennemente e in automatico, un bilancio tra l’essenziale e il superfluo, per suggerire di volta in volta dove vale la pena investire energie, anche quelle che servono ad arrabbiarsi e indignarsi, e quando invece è meglio perdonare (senza per questo dimenticare come farebbe l’ingenuo).

La vecchiaia offre dunque a tutti noi delle perdite ma anche delle opportunità uniche: sta a noi scegliere se considerarla un dono o una menomazione, se concentrarci sul bicchiere mezzo vuoto o su quello mezzo pieno.

Perdonatemi una digressione nel mondo della fantasia, ma – come spesso mi accade – nei cartoni animati come nei romanzi trovo risposte a domande “filosofiche” difficili.

Fate mente locale al gufo con gli occhiali Anacleto (“La spada nella roccia” di Walt Disney, 1963), scontroso ma anche nobile d’animo, generoso, con una forte personalità in grado di controbattere persino Mago Merlino.

anacleto

Pensate alle tartarughe Cassiopea (“Momo”, romanzo di Michael Ende, 1973), che prevede il futuro e indica a Momo la via per salvare il genere umano dai ladri del tempo, e ancora a Oogway  (“Kung Fu Panda” di M.Osborne e J.Stevenson, 2008), il maestro più forte e onorevole della Cina, nonché dotato di una grande “saggezza zen”, come ho già avuto modo di raccontarvi (qui).

momo

oogway

Entrambi questi animali – gufo e tartaruga – rappresentano inequivocabilmente la vecchiaia, non solo per la straordinaria longevità ma soprattutto per l’aspetto, la rugosità e la lentezza dell’incedere nella tartaruga o la latenza di risposta (quasi una letargia, un momento di black-out) del gufo; tutto questo però è ampiamente compensato dalla capacità di essere maggiormente pre-videnti: il pensiero si fa più lento, forse, ma anche più riflessivo, in grado di annodare i fili in un gomitolo di senso. L’esperienza acuisce il giudizio.

Il gufo sembra dormiente ma è capace di un guizzo improvviso, è un abile predatore. Ancor più la tartaruga, protetta dal suo duro carapace, nel quale è pronta a ritirarsi in piena autonomia autistica, incarna al meglio la rappresentazione del vecchio, in quanto creatura lenta che sembra bastare a se stessa, capace però, all’occorrenza, di improvvise accelerazioni e di scatti imprevedibili (provate a notare come “mette il turbo” se trova il cancello aperto o come addenta svelta un cibo prelibato).

Secondo E. Goldberg, neuropsicologo di fama mondiale, ne “Il paradosso della saggezza”, non è affatto vero che cervello e funzioni mentali abbiano necessariamente a deteriorarsi con l’età; al contrario sviluppano la capacità di riconoscere modelli capaci di integrare pensiero ed esperienza usando meglio l’emotività, l’empatia e l’intuizione.

La saggezza non implica l’immobilità o il rimpianto del passato: se andiamo a curiosare nei dizionari di altre lingue, scopriamo come ad esempio in inglese, olandese e tedesco, la parola saggio (rispettivamente wise, wijs e weise) è riconducibile, in tutti e tre i casi, ad una definizione del tipo “visione-indicami la via”. Un concetto molto lontano dall’essere statico, lento, greve, inutile, al capolinea; piuttosto, esprime qualcosa di orientato al futuro, dinamico, con una certa utilità.

Forse se oggi decidessimo di ascoltare di più i “grandi vecchi” e tutti collaborassimo attivamente, se consentissimo loro di metterci a disposizione la loro esperienza, la loro maturità per integrarle con le ultime novità, forse riusciremmo a superare la crisi… altro che rottamazione!

P.S. C’è un articolo molto interessante in merito al binomio vecchiaia-saggezza: http://www.cesil.com/1098/itpros10.htm

Inutile riportarne un abstract e/o attribuirmene la paternità, quindi se avete voglia e tempo, leggete direttamente tutto l’articolo nel quale l’autore, Harry Prosen (Chairman of the Department of Psychiatry and Mental Health Sciences, Medical College of Wisconsin, Milwaukee, Wisconsin, Usa) si propone di analizzare la relazione tra saggezza e vecchiaia, a partire dai più recenti contributi bibliografici, con particolare attenzione al ruolo della creatività nell’anziano. Tosto ma interessante!

Fonte immagini di alcune slide (spero che la mia amica Cristina gradisca le mie scelte perché è stato un compito arduo senza il suo prezioso apporto!): A- Richworks, 50 inspiring examples of emotional portrait photography (qui)

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