Il nome è un “brand”: come scegliere il nome di Battesimo del bambino?

battesimo

Il 5 maggio è nato uno splendido bebè, figlio di un’amica: Jacopo. Lei è sempre stata decisa sul nome del nascituro, mentre per me la scelta è stata più tortuosa: ho ascoltato consigli, letto libri, in un percorso, a tratti anche divertente, fatto di decisioni che mi sembravano inderogabili, di illuminazioni, e di cambiamenti altrettanto repentini. Il nome che mi piaceva un giorno, il giorno successivo passava in disgrazia. Il tutto si è concluso in modo improvviso, giunta al nono mese di gravidanza, quando in una giornata di sole ho visto una bambina meravigliosa, con tanti capelli e le ciglia da cerbiatta, mentre dormiva beata nella culla. In quel momento mi è sembrata la visione più bella del mondo, ho timidamente chiesto il nome alla nonna che la stava portando a spasso… e così la mia pancia ha iniziato ad avere un nome, Giorgia. Una scelta d’istinto quindi, la mia.

Ma che cosa è un nome? “Che cos’è un nome? La rosa avrebbe lo stesso profumo anche se la chiamassimo in un altro modo. Dunque cambia il nome, Romeo, e amiamoci tranquillamente”, così si esprimeva Giulietta (Giulietta e Romeo) per mano di William Shakespeare… e invece l’importanza del nome di battesimo è notevole e la questione è complessa!  Un noto politico italiano ha recentemente affermato, relativamente ad un altro celebre politico (sarebbe inutile e fuorviante precisarvi di chi sto parlando) che <<il nome è un brand>>: all’inizio ho sorriso, lo ammetto, ma riflettendoci meglio questa frase potrebbe contenere una perla di saggezza. Scegliere il nome di Battesimo dei propri figli è una vera responsabilità!

Lo ha ben spiegato Oscar Wilde nel suo “The importance of being Earnest”. Il titolo originale della commedia usa un gioco di parole impossibile da tradurre in italiano fra l’aggettivo “earnest” (serio, affidabile od onesto) ed il nome proprio “Ernest” che in inglese hanno la stessa pronuncia. Sul questo gioco di parole tra earnest e Ernest risiede proprio il paradosso fondamentale della commedia. Nell’alta società britannica dell’epoca – e non solo! – non è la persona a contare, non è l'”essere”, ma l’apparire, e lo sforzo d’esser racchiuso in un nome può rivelarsi quanto mai ingannevole!

Papa Benedetto XVI durante l’Angelus di domenica 09 gennaio 2011, in un momento di forte crisi per la Chiesa Cattolica, aveva addirittura esplicitamente invitato i futuri genitori a dare ai propri figli un nome “cristiano” (rinunciando a nomi diversi, più fantasiosi, anche se di gran moda tra i vip), come “sigillo indelebile da cui inizia il cammino di fede”. Infatti, aveva spiegato, “ogni battezzato acquista il carattere di figlio a partire dal nome cristiano, segno inconfondibile che lo Spirito Santo fa nascere ‘di nuovo’ l’uomo dal grembo della Chiesa”. (Fonte: www.corriere.it articolo del 9 gennaio 2011)

Essere senza nome, figlio di N.N., fino a pochi anni or sono, rappresentava un’onta, un marchio infamante, e non è ancora oggi auspicabile: è come avere una non-identità. Anche il destino dei non battezzati era, sino a pochissimo tempo fa, quello di finire al Limbo, una sorta di non-luogo dove non si è considerati dannati ma nemmeno così degni di andare in Paradiso.

Ma, se è doveroso assegnare immediatamente un nome alla nascita di un bambino, come è meglio decidere? Quali riflessioni è meglio fare preventivamente? Quali criteri seguire?

Nomi

A mio parere, la questione è davvero più delicata di quanto non sembri in apparenza.

L’atto del nominare cataloga, appiccica un marchio, ordina, fornisce una guida precisa nel lungo e faticoso processo di separazione-individuazione del Sé e quindi, in sintesi, assegna un’Identità, consegna un’Anima, di cui ogni “nominato” diviene portatore a vita.

Tra l’altro c’è anche chi rinuncia al nome di Battesimo, come gli artisti scelgono spesso di sostituire il proprio nome con uno d’arte che meglio li rappresenti.

Secondo gli studi del professor David Figlio (Northwestern University, Illinois), quando incontriamo per la prima volta una persona, il suo nome invia inevitabilmente determinati impulsi al nostro cervello. In un certo senso la “etichettiamo” in base al nome che porta. Ad esempio, tra le sue osservazioni, sarà “più facile dubitare della virtù di una Jessica che di una Geltrude, scontato considerare più moderno un Alex che un Salvatore“. Inoltre, “nomi aggraziati e femminili fanno sì che chi li porta riceva un trattamento di favore, mentre quelli androgini o inusuali fanno scattare comportamenti penalizzanti” e invece “i nomi troppo originali o rari rendono le persone più diffidenti”(Fonte: www.adiantum.it)

Anche secondo lo psichiatra italiano (e ormai noto personaggio televisivo) Alessandro Meluzzi, il nome è un simbolo, uno specchio, e rappresenta il nostro biglietto da visita di fronte al resto del mondo“Il suono che ha e il significato che rievoca influiscono direttamente sul comportamento degli altri nei nostri confronti, e questo ha effetti a sua volta sui nostri circuiti neuroendocrini: a seconda dei casi viene favorita la produzione di ossitocina, dopamina o endorfine. Possiamo insomma dire che il nome che ci viene dato influisce sul nostro sviluppo”. (Fonte: www.repubblica.it 15 giugno2010)

Secondo il professore, la scelta stessa del nome è anche un tentativo (più o meno inconscio) da parte dei genitori di fornire al proprio figlio determinate caratteristiche, un tentativo di costruirne a priori la personalità, in una società sempre più basata sulle apparenze e le prime impressioni: un nome molto originale se vogliamo che nostro figlio si faccia notare, quello della nonna se vogliamo che si adegui alle tradizioni di famiglia.

Dunque è vero che nomen omen, il nome è un presagio, come dicevano i latini.

Approfondisce molto Alejandro Jodorowsky:  “Nella maggior parte dei casi, purtroppo, il nome proprio è un concentrato delle aspirazioni del tranello famigliare… L’attribuzione del nome nasconde di frequente il desiderio di far rivivere gli antenati o di rimettere in causa il rapporto con i genitori ancora vivi. Il nome diventa allora un ulteriore segno, manifesto o camuffato, di appartenenza al clan, invece di designare la persona che è venuta al mondo come un essere specifico e unico”. (A questo proposito, è possibile comprendere qualcosa in più leggendo qualcosa in merito alla Metagenealogia).

Il nome condiziona il bambino nella sua crescita ed evoluzione: “Il bambino si abitua al suono con cui attira costantemente la sua attenzione, come farebbe un animale domestico. Finisce per incorporarlo nella propria esistenza come se fosse qualcosa di fisico. Egli cerca infatti di soddisfare le aspettative che la famiglia ripone in lui, e che il suo nome spesso racchiude, anche a costo di trascurare le sue aspirazioni o di lacerarsi nel tentativo di soddisfare tutti.”.

La famiglia spesso si aspetta, più o meno consapevolmente, che assomigliamo a qualcuno che le appartiene o le apparteneva in passato. Questo forgia una sorta di “personalità acquisita” che ci allontana dalla nostra vera Essenza. Guarire da ogni forma di disagio consiste essenzialmente proprio nel “diventare quello che si è e non quello che gli altri hanno voluto farci essere”.

Quante volte avrete sentito o pronunciato frasi come “Sei proprio come tuo padre/nonno/zio”, “Tua zia era disordinata come te”, “Finirai come tuo cugino”, ecc.?? Brutte sentenze che vengono incorporate negando la vera identità del destinatario del messaggio.

In quanto genitori dovremmo aiutare i nostri figli a diventare ciò che sono, liberandoli dai condizionamenti che tendiamo ad imporre. Un primo passo, piccolissimo, si può fare cercando di non dare nomi di battesimo che siano già appartenuti a qualcuno del clan famigliare e che quindi portino con sé un retaggio, un’eredità già in qualche modo segnata.

Il secondo passaggio è ovviamente quello di accettare i figli per quello che sono, perché – come già sottolineato –  spesso accade che il nome del nascituro viene scelto come se fosse un seme che i genitori piantano nella speranza che il figlio abbia determinate caratteristiche (un tempo, se analizzate il vostro albero genealogico, abbondavano i nomi legati alla fede ed alla religione, Angelo, Maria, Giuseppe, Giovanni, Pia, Maddalena, ecc., mentre oggi si tende all’originalità a tutti i costi, Maicol, Ridge, Suellen, ecc.).

Saremo capaci di essere consapevoli, obiettivi nel giudizio e quindi capaci di amare incondizionatamente i nostri figli anche quando il piccolo Leonardo non si rivelerà un genio come avremmo desiderato e nemmeno forte come un leone, Gloria non emergerà nella massa dei coetanei e Chiara sarà musona e “scura”??

Non è l’intenzione di Jodorowsky quella di colpevolizzare i genitori, quanto quella di invitarli ad essere responsabili anche nei dettagli – che tanto dettagli, abbiamo visto, non sono – come la scelta del nome del proprio bambino.

Concludiamo sdrammatizzando e banalizzando: ricordo di aver letto in un’intervista che la showgirl Ilary Blasi diceva di essersi sempre sentita “speciale” grazie al suo nome insolito (non a caso ha chiamato la primogenita Chanel).  Ora, senza essere grandi psicologi, immaginate quando a portare un nome insolito (Naike, Cristel, ecc.) è una ragazza non proprio bella, e soprattutto non famosa: questo nome potrebbe ugualmente essere motivo di vanto ma potrebbe facilmente trasformarsi in una vera e propria croce!

E voi, cosa ne pensate? Credete nel nome come “etichetta” ed “eredità” che ci condiziona per tutta la vita? Avete voluto trasmettere qualcosa ai vostri figli attraverso il nome che avete scelto per loro? Vi piace il vostro nome?, vi cade a pennello, vi appartiene o vi “sta stretto” come un cappotto di una taglia in meno? Nel secondo caso iniziate a chiedervi se i vostri genitori, più o meno inconsciamente, vi hanno affidato una missione da compiere.

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