Apprendimento attivo: parte II … la rivelazione

Premessa: questo post va letto necessariamente in sequenza dopo questo.

Prima di tutto la doverosa risposta al quesito che vi ho posto: <<Da dove probabilmente prendono il nome i famosi stivali delle 7 leghe?>>

Il nome deriva dagli stivali da cavallerizzo che i postiglioni (ossia i corrieri) del XVII-XVIII secolo indossavano per percorrere circa 7 miglia (circa 28 km), prima cioè di dover cambiare cavallo o carrozza alla successiva stazione.

Avevato trovato la risposta giusta? Come? Quale procedimento o ragionamento vi ha guidato nella ricerca della fonte o della ricerca? Molto probabilmente vi sarete affidati ad Internet, fonte non sempre affidabile ma per noi – generazione dedita al digitale al limite della dipendenza – punto di riferimento quasi obbligato. Il fatto è: se la vostra risposta era corretta, in questo momento abbiamo rinforzato la vostra memoria, facendo ripercorrere un’altra volta all’informazione giusta lo stesso circuito neuronale, mentre se avevate sbagliato, siete entrati in uno stato di “conflitto cognitivo” ed è comunque più probabile che in futuro vi ricorderete ugualmente il dato con maggiore semplicità, meglio che se l’aveste letto distrattatamente nel mio post o sulla settimana enigmistica.

Qual è la dunque la variabile che cambia tra apprendimento attivo e apprendimento passivo? Il coinvolgimento diretto, in prima persona, del discente. 

Per mettere in evidenza eventuali differenze tra apprendimento attivo e passivo, gli autori dello studio citato nel precedente post su Nature Neuroscience hanno portato a termine un esperimento in cui ai partecipanti veniva chiesto di memorizzare le posizioni di oggetti su uno schermo sfruttando i due diversi approcci: l’esercizio di apprendimento attivo forniva ad essi una certa autonomia, lasciandoli liberi di fare ciò che volevano sullo schermo, mentre coloro i quali erano sottoposti alla prova di apprendimento passivo erano costretti a guardare le registrazioni dei movimenti che gli altri avevano compiuto sullo schermo durante l’esercizio di esplorazione attiva.

Durante l’esperimento, i ricercatori hanno potuto analizzare, tracciando la circolazione del sangue nel cervello dei partecipanti tramite risonanza magnetica, la “vivacità” dell’area cerebrale specifica dell’ippocampo durante i processi di apprendimento e di memoria.

Analizzando le immagini ottenute dalla risonanza, è risultato che l’ippocampo è una catena importante dei processi di memoria, ma soltanto quando gli è consentita un’interazione con le altre aree del cervello. Ciò avviene maggiormente quando gli individui esplorano attivamente ciò che hanno il compito di imparare. L’ippocampo, infatti, risultava essere più attivo e sviluppava un numero molto maggiore di connessioni con altre aree cerebrali quando gli individui erano intenti ad esplorare attivamente lo schermo.

Questo dato è confermato anche da ciò che i partecipanti riuscivano effettivamente a ricordare dopo l’esperimento: interrogando gli “apprendisti attivi” gli studiosi riuscivano ad ottenere risposte più chiare e puntuali rispetto a quelle di chi aveva memorizzato passivamente il gruppo di oggetti.

Che il controllo delle condizioni e degli ambienti in cui avviene l’apprendimento sia importante è noto da tempo, ma questo studio va oltre. Se si pensa che la maggior parte degli ambienti educativi in cui crescono i nostri bambini sono di tipo strettamente passivo, si comprende immediatamente le riflessioni che questa ricerca è in grado di generare.

Quando i bambini sono pienamente coinvolti nelle attività didattiche loro rivolte  e partecipano attivamente ad esse, possono coltivare spontaneamente l’amore per l’apprendimento e per lo studio: soltanto disegnando intorno al bambino un ambiente educativo curato nei particolari, capace di spingerlo ad un apprendimento attivo, è possibile evitare il rischio che la sua capacità d’apprendimento, la sua abilità nel memorizzare le nozioni, il suo diritto ad ottimizzare il suo sviluppo cerebrale siano penalizzati.

L’apprendimento attivo è un tipo di istruzione che può benissimo essere condotto in classe, semplicemente facendo partecipare gli studenti ad altre attività oltre che guardare e ascoltare il docente.  Lavorando individualmente o in gruppi, gli studenti possono essere invitati a fornire le risposte a delle domande, a risolvere problemi, discutere, dibattere, riflettere, generare idee, o a formulare delle domande.

A tal proposito, potrebbe anche interessarvi un post un po’ datato ma molto pertinente sul “buco nel muro” e Mister Mitra

Note: Lo studio citato in quest’articolo è intitolato “Hippocampal brain-network coordination during volitional exploratory behavior enhances learning” ed è stato condotto da Joel L. Voss, Brian D. Gonsalves, Kara D. Federmeier, Daniel Tranel, Neal J. Cohen.

Fonte info: quiz www.corriere.it ; fonte ricerca: www.nature.com

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