Elogio della fragilità

Dopo Jodorowsky, Einstein e Lisa Simpson e Mafalda) un altro spettinato ha fatto breccia nel mio cuore.. Non è perfetto, ma chi lo è?? Data la sua non più giovane età e la lunga esperienza maturata sul campo si può permettere di essere politically s-correct. Lui è Vittorino Andreoli, psichiatra noto sul grande schermo, autore di numerosi di saggi e libri in cui lascia emergere il suo lato più filosofico e di libero pensatore.

vittorino andreoli

 

Condivido l’amore per i matti (usando tutto il rispetto che questo termine esige e merita) e la Follia, apprezzo che non tema di andare controcorrente; mi deliziano le sue considerazioni sulla Fragilità umana – in primis la sua, che non esita ad ammettere senza pudore – in una società che sembra esclusivamente votata alla performance, all’eccellenza, alla perfezione che ghettizza o ridicolizza i deboli e i diversi, alla ricerca del successo a tutti i costi.

fragilità

Da “L’uomo di vetro: elogio della fragilità” (Ed.Rizzoli, 2008)

Sento forte il desiderio di svelare la mia fragilità, di mostrarla a tutti coloro che mi incontrano, che mi vedono, come fosse la mia principale identificazione di uomo, di uomo in questo mondo. Un tempo mi insegnavano a nascondere le debolezze, a non far emergere i difetti, che avrebbero impedito di far risaltare i miei pregi e di farmi stimare. Adesso voglio parlare della mia fragilità, non mascherarla, convinto che sia una forza che aiuta a vivere.

«Fragilità» ha la stessa radice di frangere, che significa rompere.
La fragilità di un vetro pregiato di Murano o di un cristallo di Boemia: bello, elegante, ma basta poco perché si frantumi e si trasformi in frammenti inservibili. Conoscendone la natura, si deve stare attenti a come lo si usa, a come lo si conserva: occorre tenerlo lontano da luoghi in cui si compiono azioni d’impeto, perché altrimenti quel vetro pregiato si fa nulla, solo ricordo.

«Fragile» significa anche delicato, gracile.

Come un fiore: basta un colpo di vento e un petalo si stacca e perde il suo profumo, divelto dalla sua funzione, muore.

Il contrario di fragile è resistente, tetragono, indistruttibile.

Si pensa agli oggetti in acciaio, alle rocce di una montagna. All’uomo di roccia, non di vetro, all’uomo potente, non fragile: c’è e tra un attimo potrebbe svanire, pezzi di un’unità defunta, come non fosse mai stato.

Si sente dire che l’educazione deve edificare un bambino forte, un uomo di coraggio che affronta le lotte e le vince.

La timidezza, invece, va curata e prima ancora nascosta; la paura va dimenticata e sostituita con la potenza e per questo ci si allena a battere un nemico, prima immaginario e poi di carne; e l’abilità sta proprio nel romperlo e non nel venire rotti.

Ecco la differenza tra i due opposti: la fragilità e la forza.

«Grandi» si crede siano coloro che hanno sempre vinto, mentre i «gracili» in un attimo si incrinano, si frantumano in tanti piccoli pezzi che non permettono di venire ricomposti.

Io sono fragile e, paradossalmente, sono portato a parlare di forza della fragilità: di forza, anche se lontano dalla stabilità, dalla infrangibilità.

Ho dedicato il mio tempo alla follia, al dolore mascherato di insensatezza, di depressione; alla sofferenza che si fa silenzio, che sdoppia le identità e fa di un uomo uno schizofrenico.
Un lavoro che molti ritengono esclusivo dei forti, degli uomini di ferro che magari si piegano ma non si rompono, degli uomini di pietra cui il vento rende liscia la pelle, che cambiano forma, ma non perdono mai la durezza e il destino fissati per sempre.
La fragilità richiama il tempo e la caducità del tempo, del tempo che passa. Ebbene, se sono stato, e sono, un buon psichiatra, se ho aiutato i miei matti, ciò è avvenuto per la mia fragilità, per la paura di una follia che si annida dentro di me, per la fragilità che avverto capace di sdoppiarmi, di togliermi la voglia di vivere e di rendermi simile a un depresso che chiede soltanto di scomparire per cancellare il dolore di cui si sente plasmato.
E il dolore è una qualità dell’essere fragile.

Ecco perché voglio gridare la mia fragilità, dirlo ai miei matti, a tutti coloro che corrono da me per ancorarsi a una roccia. Devono sapere che semmai si attaccano a un vetro di Boemia, a un vaso di Murano, colorato, magari soffiato in forme curiose e piene di fascino. Come un vetro io, psichiatra fragile, tante volte ho corso il rischio di rompermi.
Una gracilità che però aiuta l’altro a vivere, che mi ha permesso di capire la fragilità e di rispettarla, di stare attento a non manipolare gli uomini, a non falsificarli. Ho amato persino i frammenti di uomo, mi sono dedicato con pazienza a metterne insieme i suoi pezzi.

La fragilità rifà l’uomo, mentre la potenza lo distrugge, lo riduce a frammenti che si trasformano in polvere. 

fragilità2

 

(….) Sono uno psichiatra fragile che mette insieme pezzi d’uomo perché possa sorridere, sperare, amare e sentire la propria fragilità. (…)

Lo psichiatra non ricostruisce la grandezza, ma sempre e soltanto la fragilità. È come se amasse le caratteristiche dell’uomo fragile, non quelle dell’onnipotente, del forte; semmai la forza è in quella insufficienza, in quella consapevolezza di potersi rompere, come un vaso «segreto»: solo se si rompe esce qualcosa di sconosciuto e di prezioso.

Io lo trovo meraviglioso… Potrei continuare ma vi priverei del gusto di leggere l’intero brano, quando ve la sentite e quando pensate vi possa servire.. Il testo è completamente disponibile qui.

 

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