Si è celebrata la Festa della mamma, lo so, quindi vi aspettereste un post sdolcinato che faccia da degno sfondo ai cuoricini, alle tenere poesie, alle coccole che sicuramente hanno accompagnato la giornata… e invece, come il Grillo Parlante, voglio essere una voce fuori dal coro e sento l’esigenza, come ho fatto in occasione della Festa del papà, di condividere pensieri ed emozioni sulla maternità e sull’essere madre, senza timore di sembrare politicamente scorretta, per dar voce alle mille sfumature che questi termini hanno assunto per me in questi ultimi anni di professione e di Vita..
Da quando ho messo al mondo Giorgia, 6 anni fa, vivo la mia professionalità in modo differente: sono ovviamente più sensibile ai bisogni del bambini ma anche delle mamme e quindi, questo post, scritto dalla psicologa ma soprattutto dalla mamma, nasce per parlare a tutte le mamme, ma non solo… Idealmente però vorrei poter essere vicina, abbracciare e parlare a tutte le donne, a chi avrebbe voluto essere madre e che, non essendolo, ieri ha trascorso una giornata di pensieri cupi e dolorosi, a chi è stata madre e ora tristemente non lo è più, a chi si sente madre e non padrona del proprio animale domestico, a chi è diventata – con piacere o suo malgrado – surrogato materno per il proprio compagno/marito… a chi è madre “per caso” e a chi invece si è sentita completa solo dopo il parto… Questo post in qualche misura è dedicato anche a chi crea qualcosa con le proprie mani, a chi si occupa di accudire le persone, piccole o grandi, o a chi si dedica all’ambiente e quindi è “madre” di tutta la Terra: il maternage, ossia l’arte di prendersi cura attraverso un legame profondo basato sull’amore, sulla comunicazione e il conforto, sulle cure affettuose, premurose e continue, non è prerogativa esclusiva di chi è madre in senso stretto. Maternage è essere guida, accompagnatrice di un percorso, è apertura verso chi ha un bisogno o si è perduto, è dare alla luce qualcosa che prima non c’era e poi c’è, è cercare di migliorare ciò che ci circonda.
Il mio abbraccio accoglie infine le figlie: qualcuna ha un legame profondo con la propria madre, qualcuno la mamma l’ha persa ma la porta nel cuore, qualcuna ce l’ha al proprio fianco ma è molto critica nei suoi confronti e magari non riesce a perdonarla. Perché tutte le madri, prima di diventare tali, sono state figlie e devono fare i conti con la figura interiore della Madre, sia essa assente o presente, lontana o vicina e invischiante. Spesso ci impegniamo per essere differenti dalle nostre madri, vorremmo essere migliori di loro nelle scelte e nei comportamenti, evitarne gli errori, ma loro sono parte di noi e, senza che ce ne rendiamo conto, di generazione in generazione, come una catena di prigionieri, si ripetono i ruoli, le ferite e i conflitti. A questo proposito, Jodorowsky con la sua Metagenealogia docet! L’unica soluzione non è rinnegare il passato (perché “senza radici non si vola” – Bertold Ulsamer), ma un percorso di consapevolezza sul ruolo materno che miri, giorno dopo giorno, al raggiungimento di un’identità piena, svincolata dal copione ereditato, vivendo, creando e amando a partire da quello che siamo veramente.
Forse tutte le madri dovrebbero godere del sostegno psicologico gratuito, oggi più che ieri: si eviterebbero sicuramente tanti casi di baby-blues, la depressione post-partum della quale cadono vittime molte donne, anche intelligenti e colte, che si sentono improvvisamente insicure, inadeguate, impreparate; perché essere madre è sicuramente un qualcosa di rivoluzionario e fantastico, ma non è sempre idilliaco e facile come le pubblicità vorrebbero farci credere! Per qualcuno più, per qualcuno meno, ma i figli sono sempre “croce e delizia!”. La percezione dell’esistenza di qualcuno che non ci farà mai più essere sole, ma solo parte di un “due”, l’essere fonte primaria e indispensabile di sopravvivenza per qualcuno, il sapere che qualcosa di noi sopravviverà alla nostra morte… ecco tutto questo è gratificante, appaga la nostra onnipotenza, ma allo stesso tempo spaventa perché ha una portata enorme, è uno tsunami interiore.
Mi piacerebbe che in ogni città ci fossero gruppi di auto-mutuo-aiuto per mamme e figlie, luoghi di incontro e scambio, creando reti come quelle che spontaneamente proliferano in Internet grazie ai vari forum e blog. Affinché nessuna mamma si debba mai sentire sola, incompresa.
Perché solo dopo l’esperienza del sentirsi compresa una mamma può comprendere a sua volta: solo dopo che qualcuno asciugherà le sue lacrime, essa sarà veramente in grado di asciugare quelle dei propri figli. E solo rielaborando la propria esperienza di madre si può arrivare a comprendere – forse a perdonare – la propria madre.
Nel mondo che vorrei gli esperti psicologi, educatori, pediatri, riuscirebbero nel proprio compito di rassicurare le madri anziché ingenerare ulteriori ansie e vissuti di inferiorità. Nessuna mamma dovrebbe mai sentirsi mamma a metà perché ha dovuto – o voluto – partorire con il parto cesareo; nessuna mamma dovrebbe preoccuparsi del fatto che il proprio figlio, allattato con il biberon (anche in questo caso per scelta o necessità), sarà per la scienza meno sano o psicologicamente più insicuro; nessuna mamma dovrebbe sentirsi sacrificata e obbligata ad allattare per un anno per non subire critiche dal pediatra di turno; nessuna mamma dovrebbe essere tacciata di immaturità, debolezza o altro, se decide di procedere con l’epidurale per partorire con meno dolore..
Sarà vero che chi decide di non far dormire il bebè nel lettone è una mamma egoista e che questa scelta pregiudicherà la serenità futura del figlio privandolo di un legame fondamentale? Oppure sarà vero che chi fa dormire il bambino con sé appaga un proprio desiderio e sta gettando le basi per una futura insicurezza cronica??
Mi sembra assurdo che nel 2014 molti professionisti, magari a loro volta genitori, non si accorgano di quanto sia deleterio delineare l’immagine della “mamma perfetta”, da manuale.. e di quanto peraltro ciò sia profondamente errato, perché mamme perfette non esistono! Esistono tanti tipi di mamma, tante declinazioni dello stesso termine, e quindi tanti vissuti, tante esigenze differenti. Citando lo psicoanalista Winnicott possiamo aspirare al massimo a diventare “madri sufficientemente buone”.
Vorrei trovare un modo, una parola, un gesto, per consentire alle madri di percepirsi come competenti: la cosa migliore per un figlio è avere una mamma contenta di sé, serena e con l’energia per sostenere la fatica che è implicita nel crescere un figlio.
In assenza di sostegno professionale o gruppi di supporto, possono diventare valide alleate le letture. Ci sono tanti – troppi! – libri che mi sentirei di consigliare, ma – per necessità – ne ho selezionati alcuni: non nutro l’ambizione di esaurire tutte le sfumature della maternità, ma lancio qualche spunto di riflessione, come briciole che ogni donna può decidere di seguire o meno come guida nel proprio percorso.
A chi si pone il problema se donare una vita o negarla: “Lettera ad un bambino mai nato” – Oriana Fallaci
<<Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. Mi si è fermato il cuore. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata. Mi si è fermato il cuore. E quando ha ripreso a battere con tonfi sordi, cannonate di sbalordimento, mi sono accorta di precipitare in un pozzo dove tutto era incerto e terrorizzante. Ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri. E in essa mi perdo. Cerca di capire: non è paura degli altri. Io non mi curo degli altri. Non è paura di Dio. Io non credo in Dio. Non è paura del dolore. Io non temo il dolore. È paura di te, del caso che ti ha strappato al nulla, per agganciarti al mio ventre. Non sono mai stata pronta ad accoglierti, anche se ti ho molto aspettato. Mi son sempre posta l’atroce domanda: e se nascere non ti piacesse? E se un giorno tu me lo rimproverassi gridando “Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché mi ci hai messo, perché?”. La vita è una tale fatica, bambino. È una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele. Come faccio a sapere che non sarebbe giusto buttarti via, come faccio a intuire che non vuoi essere restituito al silenzio? Non puoi mica parlarmi>>
Il libro non è sicuramente una lettura leggera, anzi, a dir il vero è un vero e proprio pugno nello stomaco, ma pone in primo piano, senza retorica, alcune domande fondamentali – purtroppo molto attuali! – che una donna si pone sin dal concepimento e che riguardano la legittimità e l’accettazione della nascita da parte del bambino in un mondo ostile, violento e disonesto. Scritto come un monologo drammatico di una donna anonima sul tema dell’aborto, il libro mostra la maternità vissuta non come un dovere ma come un atto responsabile; al bambino viene concesso il diritto di scegliere se nascere o no e, attraverso un processo alla madre, istituito con la presenza di sette giurati eccellenti – tra i quali i genitori, il medico, la dottoressa, il datore di lavoro – si arriva ad una sentenza non scontata.
Per rompere l’isolamento della maternità agognata e faticosamente ricercata: “Le difettose” – Eleonora Mazzoni. Il tono a tratti lieve e ironico – non so se scelto consapevolmente o inconsapevolmente – rende meno triste un tema altrettanto attuale e amaro come quello dell’infertilità e della procreazione assistita.
<<Detesto tutti i ritardi, tranne uno>>
Testimonianza molto intelligente e sensibile, utile per chi non è mamma e non sa “quando” e “se” mai lo sarà, per chi soffre vedendo pancioni e abiti premaman nelle vetrine. Chi è riuscita ad avere figli senza sforzi non si rende conto del privilegio che ha avuto e non coglie gli sguardi invidiosi che la circondano, e mentre disserta allegramente di svezzamento e pannolini con le altre mamme ai giardinetti, non sa che esiste un mondo parallelo, una rete, invisibile a occhio nudo, che protegge e sostiene chi sta cercando, con ostinazione, fatica e dolore, di acchiappare la cicogna che sembra non aver voglia di farle visita. Tante donne che tutti i mesi si chiedono “Perché io no?” e che, passando tanto tempo fianco a fianco in Ospedale, condividendo terapie, speranze e frustrazioni, diventano una grande famiglia.
Un romanzo che tocca corde simili, sentimenti e pensieri spesso inconfessabili, sulla maternità a tutti i costi, ossessivamente cercata, una maternità surrogata e un amore simbiotico con il figlio, è “Venuto al mondo” – Margaret Mazzantini
<<Il viaggio della speranza. Penso di nuovo a quelle parole che mi sono cadute negli occhi, per caso. Penso a Pietro. La speranza appartiene ai figli. Noi adulti abbiamo già sperato, e quasi sempre abbiamo perso.>>
Un libro un po’ favola, un po’ poesia, un po’ duro e crudo. Un romanzo, ma non meno plausibile di una storia vera; un libro che ogni tanto esige una pausa perché fa trattenere il fiato, fa venire un nodo alla gola che fatica ad andarsene. Un argomento delicato, “la maternità in affitto”, ancora poco esplorato, ma che fa discutere e riflettere molto. Ci sono tante domande e altrettante risposte. Ancora una volta l’unica voce che andrebbe ascoltata è quella delle madri.
Per le mamme adottive, le mamme di cuore: “Il cammino dell’adozione” – Anna Oliverio Ferraris
Ammiro molto le madri adottive, perché hanno il coraggio di andare oltre il desiderio egoistico – seppur legittimo e per lo più inconsapevole – di dare alla luce un figlio affinché dia un senso al proprio stare al mondo; facciamo un figlio per amarlo, per proteggerlo, certo, ma anche perché ci ami, perché speriamo che ci assomigli e che ci faccia vivere dentro i suoi tratti, nel suo carattere: nell’amore per i nostri figli c’è anche una componente di amore per sé, è inutile negarlo. Le madri adottive invece amano per amore, senza riconoscersi nel viso del loro bambino, amano scegliendo di amare e sapendo con certezza che incontreranno tante difficoltà. Per tutte queste mamme è necessario, indispensabile, un supporto professionale, e Anna Oliverio Ferraris mi sembra possa essere un’ottima interlocutrice. La sua competenza è innegabile, ma ciò che soprattutto apprezzo è la volontà di non semplificare la realtà: il libro suggerisce che l’adozione è un vero e proprio cammino, da percorrere con passione e pazienza, con rispetto e onestà. Ci aiuta a capire che le “diversità” che questa avventura porta con sé – famiglie fondate su una scelta e non sul sangue, culture e colori differenti, identità sepolte nel passato, ferite che nessuno può rimarginare – non vanno né negate né enfatizzate, ma vanno accettate per quello che sono, con tutta la serenità di cui siamo capaci.
A tutte le mamme imperfette e alle figlie di queste mamme, parla la psicoterapeuta Alba Marcoli: da anni questa professionista conduce gruppi di lavoro con genitori e, dalla sua esperienza, è nato “La rabbia delle mamme”, un altro libro sicuramente non soft ma che ha il coraggio di affrontare un altro dei tabù più diffusi legati alla maternità: non sempre tutto è rose e fiori ed è normale sentirsi ogni tanto stanche, depresse, deluse, non all’altezza e, perché no?, persino arrabbiate. Solo il rispetto del mio Codice Deontologico mi trattiene dal raccontarvi tutte le volte che mi sono arrabbiata da quando sono diventata mamma, arrabbiata con me stessa, con mia figlia, con mio marito, con il Comune, con la società e il mondo intero: sappiate solo che sono tante. Non credo di aver mai toccato con mano così tanto questo sentimento. E dopo essermi arrabbiata… mi arrabbiavo perché mi ero arrabbiata! Ma arrabbiarsi significa essere cattive madri? Da dove nasce questa rabbia e come si può gestire? L’importante non è negare la rabbia ma comprenderla. Questo libro per me è proprio un eccellente esempio di un’esperta che non giudica, ma accoglie affettuosamente e aiuta a comprendere (cum+capere, ossia con+prendere = prendere e mettere insieme, accettare che esistano simultaneamente molteplici realtà e verità): incoraggia l’empatia e la compassione, inclusa l’auto-compassione.
<<Bene, questa storia di maternità che dura da quindici anni e che a ogni nascita mi ha reso nuova nella forza e nella debolezza, nella gioia e nel dolore, mi ha reso una donna più consapevole, forse e senza forse, piena di difetti e limiti, ma grazie a Dio, anche di risorse per affrontare le inevitabili difficoltà del cammino. Alle volte sono un vero disastro. Alle volte mi sento sconfitta. Alle volte vorrei darmela a gambe. E invece sono qui, con qualche ammaccatura, ma piena della risa dei miei figli>>
Per le mamme che scelgono di seguire un approccio alla maternità e una filosofia di vita basate essenzialmente sulla condivisione: “Sono qui con te” – Elena Balsamo, pediatra, anzi, etnopediatra.
<<Tutti i genitori – io credo – si pongono prima o poi la fatidica domanda: “che cosa possiamo fare per aiutare nostro figlio a crescere bene?” (…) Fate vostro l’atteggiamento degli esploratori e disponetevi con grande umiltà a mettervi all’ascolto del bambino>>
Al di là della filosofia che guida il libro (che è un vero e proprio manuale dove si affrontano argomenti come parto naturale, co-sleeping, allattamento al seno, portage sulla schiena, ecc.), che può essere condivisa o meno, ciò che dal mio punto di vista può essere una boccata d’ossigeno per tutte le mamme è l’invito, molto dolce e gentile, a fidarsi del proprio istinto, ad affidarsi delle proprie capacità, a riscoprire quei saperi ancestrali che giacciono nel profondo del loro animo, in quanto patrimonio comune di tutte le femmine di mammifero. Le mamme non devono più far sì che le proprie emozioni vengano sommerse e sepolte dai condizionamenti esterni.
All’apparenza diametralmente opposto al libro precedente, in realtà non molto distante nella rivendicazione di libertà di scelta: “Mamme cattivissime” – Elisabeth Badinter (in francese il titolo è meno forte, si presta meno alle critiche feroci che nel nostro Paese ha ricevuto, ed è “Il conflitto. La donna e la madre”).
Il libro denuncia il riemergere prepotente di un modello femminile che fa dell’essere madre l’elemento fondante dell’identità della donna, il mito della <<maternità concepita come forma di ascetismo e di dedizione assoluta>>.
Le domande fondamentali sono: per essere felice e realizzarsi, una donna deve necessariamente essere madre? E poi: una madre felice è necessariamente una donna felice? Pubblicità, saggi sociologici e filosofici sembrerebbero affermare questo. Sono le stesse donne a sostenere l’apologia della madre perfetta, pacificata, efficiente, sensibile e affettuosa. Se volete una conferma di quanto sto affermando prestate orecchio alla prima domanda che spesso viene posta da una donna-madre ad una donna single: “Ma tu figli non ne vuoi?!?”.
L’Autrice afferma che una donna dovrebbe sentirsi libera di diventare madre o meno, senza condizionamenti esterni, dovrebbe poter scegliere se allattare al seno oppure no, se tornare a lavorare presto o dedicarsi al proprio figlio.
Ciò che è stato frainteso dai detrattori, è che Elisabeth Badinter (che tra l’altro è madre di 3 figli e nonna!) non ha la presunzione di insegnare un metodo corretto di educazione e soprattutto non intende creare due fazioni opposte: biberon contro allattamento al seno, surgelati contro pappe biologiche di prodotti a km 0, parrucchiere anziché altalena ai giardinetti, baby-sitter o Asilo Nido contro rinuncia al lavoro. Sarebbe un’orribile semplificazione! L’Autrice denuncia “semplicemente” l’impraticabilità della libera scelta.
La pillola e l’allattamento artificiale hanno reso le donne apparentemente più libere di scegliere. Scegliere se tornare a lavorare pur avendo un bambino, scegliere se avere un bambino. Queste due conquiste sono ormai patrimonio culturale delle società occidentali e non potranno essere cancellate e tuttavia – spiega la Badinter – possono venire vanificate nelle fasi di crisi economica, come questa che stiamo vivendo, in cui la perdita massiccia di posti di lavoro relega le donne al loro ruolo “tradizionale”: spesso sono le donne stesse, precarie, sottopagate e sottoposte allo stress del dover conciliare mille incombenze, a gettare la spugna per occuparsi solo del bambino con l’obiettivo di essere una madre ideale… ma questa si può definire “libera scelta”? Questa soluzione non comporta forse frustrazioni e insoddisfazioni?
Polemicamente la Badinter, femminista convinta, sostiene che le quote rosa non servono a nulla: sostiene che ci salveranno solo le cosiddette child-free – nuovo vessillo dell’autonomia, dell’auto-realizzazione, della vita vissuta come più ti piace – e le madri francesi.
Perché in Francia c’è il tasso di natalità più alto d’Europa ? Perché in Francia c’è anche il maggior numero di figli per coppia? E perché, sempre in Francia, la donna lavora mediamente di più che nel resto d’Europa?
La risposta a queste tre domande, secondo la Badinter, è una sola: perché le francesi sono madri mediocri. Perché hanno un’esperienza secolare nell’arte della delega (già le borghesi del Settecento non allattavano i figli, pratica ritenuta addirittura disdicevole dalle nobildonne perché «impediva la vita sociale»).
<<Più si alleggerisce il peso delle responsabilità materne, più vengono rispettate le scelte della madre e della donna, e più questa è incline a tentare l’esperienza, o a replicarla. Sostenere la maternità a tempo parziale, che alcuni considerano insufficiente e per questo colpevole, è oggi la strada preferenziale per la riproduzione>> scrive lapidaria la Badinter.
Possiamo condividere o meno il pensiero dell’Autrice, e sicuramente il termine “mediocre” non è felice, ma l’accento sull’eccesso di aspettative che la società ha verso le madri è un aspetto interessante e con un fondo di verità innegabile. Io ovviamente preferisco parlare di ricerca di una maternità non mediocre, ma consapevole, equilibrata, con condizionata nelle scelte sin dal concepimento. Solo con la libertà di scelta e la consapevolezza ci saranno mamme non arrabbiate, ma serene e felici. Evviva le mamme felici!